Incontro con il Cardinale Angelo Scola

TRE DIMENSIONI EDUCATIVE PER I NONNI: IL BELL’AMORE, IL LATO DOLOROSO DELLA VITA, IL LAVORO E IL RIPOSO

2017 Incontri Nonni e Famiglia Riflessioni

Incontro con il card. Angelo Scola

Pensiamo che si possa definire eccezionale il pomeriggio vissuto sabato scorso a Milano dai nonni con l’Arcivescovo Angelo Scola: testimonianze vere e profonde, musica e canti, parole chiare del Cardinale, prospettive affascinanti. Aumentano le nostre responsabilità. Per fortuna!

Erano presenti 600 persone. Continuiamo nella nostra avventura insieme.

Qui trovate il testo dell’intervento del Card. Scola; l’intervento è presente anche nella videoregistrazione dell’evento.

Intervento del Cardinal Scola
 

Io devo dire anzitutto che non ho conosciuto nessuno dei miei nonni perché sono morti prima che io nascessi, quindi non posso parlare in questo senso per esperienza diretta: non ho avuto la fortuna di poter vedere la loro faccia, salvo quella dei nonni paterni che dominava nell’unico quadro a casa mia, una vecchissima foto degli anni 20. Invece degli altri due non ho nemmeno un’immagine. Perché dico questo? Perché le brevi notazioni che cercherò di fare, per rispettare i tempi che ci siamo dati, non derivano da un’esperienza immediatamente diretta ma da una preoccupazione che, come vescovo, ho percepito già anni fa. E sono contento di vedere attuata tale preoccupazione in questa associazione dei Nonni 2.0, la cui vitalità è confermata dall’assemblea che abbiamo fatto. La preoccupazione è una preoccupazione educativa, questo è ciò che mi ha mosso e mi muove a cercare di sostenere luoghi come questi in cui si viva con consapevolezza matura, che vuol dire ecclesiale, come poi dirò, un compito che, come abbiamo percepito oggi, è già in atto, è attuale in quanto voi già lo svolgete.

La natura ecclesiale che io richiamo consiste nello strappo dalla frammentarietà, come diceva don Cozzi citando Guardini. È lo strapparsi dalla frammentarietà familiare del chiudersi dentro un orizzonte di sicurezza, di costruttività, di genialità, come abbiamo sentito nell’esperienza della musica e di altre, che sono molto belle, ma non riescono ad andare oltre, perché ciò che consente di andare oltre è solo la missione ecclesiale, assunta in termini espliciti e consapevoli. Quindi la preoccupazione educativa coincide col percepire, praticare e far vivere, attraverso l’esperienza dell’essere gli attori della cosiddetta prima generazione, la bellezza della Chiesa, della sequela di Gesù; farla vivere attraverso i nipoti, creando comunione, solidarietà e appartenenza, tonificando e vivificando in questo modo le nostre comunità ecclesiali, sia parrocchiali che decanali, ecclesiali, aggregative.

Insomma, io ho intuito che le famiglie di prima generazione, cioè voi, potevano essere una grande forza per la Chiesa in questo tempo di transizione, ma rischiavano di restare troppo chiuse in loro stesse e i nonni, al di là della dolcezza, della bellezza, della tenerezza, della verità, dell’esperienza gratuita dell’amore dei nipoti attraverso i figli, rischiavano di perseguire il rimanere di una fase della vita precedente, continuando ad arrancare dietro ai contenuti di vita della generazione precedente, senza assumersi i contenuti di vita propri di questa fase.

Non so se sono riuscito ad essere chiaro, ma ho visto per la prima volta la forza di questa cosa in Australia, precisamente a Sydney, dove esiste una grande associazione nazionale delle famiglie di prima generazione. Ho intuito che il salto fatto era quello di assumersi i contenuti propri di questa fase della vita nell’orizzonte del tutto nel frammento, consapevoli che da lì passa tutto l’essere e il benessere della persona e che non bisogna cercarlo al di fuori di quella condizione. Voi capite che questo non è un particolare, anzi è il modo migliore per riprendere, in termini più dinamici e attuali, quello che i nostri vecchi facevano già da giovani, il cosiddetto apparecchio della buona morte. Mia mamma recitava la preghiera di Sant’Alfonso Maria de’ Liguori, un po’ terribile, bisognerebbe trovarne un’altra. Ma per indicare la coscienza della conversione, necessaria per trasformare il terrore della morte, come viene chiamato nella lettera agli Ebrei, nella coscienza di un passaggio nella casa dalle porte aperte della Trinità. È una conversione paziente. Certamente svolgere il proprio compito educativo nei confronti dei nipoti è un fattore indispensabile per questo apparecchio, cioè per imparare a morire, come una testimonianza oggi ci ha mostrato. È una cosa che la società di oggi fugge, a tal punto che noi sentiamo come liberante la bellissima preghiera di Rilke:” Da’ o Signore a ciascuno la sua morte. La morte che fiorì da quella vita, in cui ciascuno amò, pensò, sofferse”… personale e che sia rispettosa di tutta una vita. Anche se Adorno lo criticò aspramente per questo, dicendo che “oggi si crepa e basta”, anche se Jonesco diceva che è impossibile togliere alla morte l’immagine dell’assassino che ti sorprende, però la posizione di Rilke è di gran lunga la più umana. Non vorrei terrorizzarvi, però bisogna star davanti a questo dato e il rapporto educativo con i nipoti è una formidabile risorsa. Volevo dire che non è una risorsa solo per loro, ma anche per noi. E lo è in grande stile.

Detto questo voglio solo aggiungere, come nota bene, tre elementi che io credo decisivi, dentro la famosa appartenenza ecclesiale, dentro una modalità di vivere questa associazione che non la riduca a un frammento tra tanti frammenti. Sono tre elementi che ritengo decisivi per l’educazione dei nipoti e che trovano i nipoti in un’ottima posizione di ascolto, per di più è una posizione che va avanti nella vita, cosa che alle nostre realtà educative ecclesiali non riesce sempre, perché oggi i nostri ragazzi se ne vanno dalla vita cristiana in grande numero e sempre di più in giovane età. Il motivo è che i rapporti restano spesso, tra noi (nella Chiesa e nella società), solamente funzionali, cioè non passano attraverso quell’esperienza di amore che è necessaria perché uno impari a reggere nella vita, perché uno stia su quel famoso solido terreno che ci è stato detto. Allora io vedo tre ambiti della nostra possibile azione pedagogica con i nipoti.

Il primo lo chiamo l’educazione al bell’amore.

Il secondo è l’educazione ad accettare il lato ombroso della vita, il lato doloroso.

Il terzo è l’imparare la serietà sia del lavoro, inteso in senso lato, sia del suo nesso con il riposo.

Per il primo, ne ho parlato tanto e non voglio aggiungere se non una parola: il bell’amore è l’ambito in cui il soggetto si gioca e incomincia da un dato, non oso ancora definire il dato come dono. Infatti, per esemplificare con il rapporto tra un uomo e una donna, l’innamoramento è una realtà ambivalente, come tutti gli uomini e tutte le donne sperimentano, dunque non bisogna fare esaltazioni eccessive dell’innamoramento, però è un dato di fatto che uno non sceglie di innamorarsi, già San Tommaso descrive questo fenomeno molto bene: è una passione che ti prende. Ma tu sei chiamato lentamente a svolgerla, così da riuscire ad amare l’altro come altro, per se stesso e non come uno strumento nelle tue mani e non dico solo come uno strumento di piacere o di godimento, ma come uno strumento anche nel senso del gaudio, del fare un’esperienza del bello e del buono. Allora i nostri ragazzi, fin da piccoli, possono trovare nella compagnia vostra una introduzione a questo stile gratuito dell’amore, trasformando l’innamoramento da dato a dono, passando da una dimensione puramente affettiva e soggettiva ad un amore effettivo e oggettivo che ama l’altro come altro, rispettandolo nella sua definitività. Questo mi sembra molto molto importante. I nostri nipoti, penso e lo vedo coi figli del mio povero fratello, su questo aspetto sono più sensibili al rapporto con i nonni, al consiglio e alla storia dei nonni, di quanto non lo siano verso i genitori. Non si tratta di togliere spazio ai genitori, la responsabilità educativa è dei genitori! Però i nonni hanno una funzione importante, dentro il dinamismo della compagnia, sulla questione fondamentale della vita, che è la questione dell’amore: il Vangelo di Giovanni si conclude con quelle tre parole lapidarie: “Dio è amore”. Questo è il primo aspetto. Potrei ridire tutte queste cose usando una parola oggi caduta dall’uso, ma di grande potenza che è la parola castità. Nessuno ne parla più, ma la castità non è anzitutto una regoletta morale, è invece questa posizione dell’essere di fronte all’amore, questa posizione intera di fronte all’amore.
Il secondo elemento, come diceva uno di voi poco fa, è che i nostri nipoti, vedendoci, vedendo la nostra età, percependo un itinerario di vita passato, che per forza di cose ha dovuto trattenere luci ed ombre, intuendo che, per quanto la parabola possa essere schiacciata, tuttavia siamo nella fase discendente, capiscono che i lati oscuri della vita li imparano di più dai nonni che dai genitori. Questo è molto importante.

E infine, terza e ultima cosa, una vita che tende al compimento terreno come la nostra, in cui si spalanca l’eternità, è una vita che, al di là dei nostri fallimenti, dei nostri limiti, dei nostri peccati, è stata una vita di costruzione, di edificazione, pensiamo alla famiglia stessa. È stata una vita di lavoro, nel senso pieno della parola e il lavoro implica ordine, serietà, passione, dedizione. Allora, come il riferimento a Pascoli ci ha fatto notare precedentemente (con l’immagine della nonna di fronte al nipote che comincia a muoversi per imparare, raccontare, dire) noi possiamo accompagnare la libertà, anche dei più piccoli, nell’assunzione seria della vita come compito e come compito ecclesiale, civile, sociale. Mi ricordo una delle esperienze molto belle che ho potuto fare da giovane, è stato quando, nel passaggio all’Università, in un incontro col cardinal Colombo, lui ci interrogò dicendo: “Avete pensato, nello scegliere la vostra facoltà, ai bisogni della Chiesa?”

Chi dice più queste cose? Chi è il prete che dice una cosa così a un maturando di oggi? Nessuno lo dice, perché si crede che tutto sia nell’autorealizzazione. Se hai una inclinazione… e infatti i ragazzi sono tutti sbandati, la maggioranza non è capace di scegliere la facoltà quando deve scegliere. Adesso poi, dopo la riforma del ‘68, hanno incrociato tutti gli indirizzi, così si può fare un anno di qui, poi passare di là, poi tornare indietro. Ora il compito ecclesiale e sociale può nascere come criterio, poi certamente vanno valorizzate al massimo inclinazioni e capacità personali, però mi ricordo quell’incontro del cardinale Colombo, quando disse, rivolto a Gioventù Studentesca: “Molti di voi si sono impegnati nell’insegnamento, adesso è arrivato il momento in cui impegnarsi nelle professioni dei mass media”. Come aveva ragione! Purtroppo mi pare che la battaglia l’abbiamo abbastanza persa, speriamo che nel futuro le cose si dilatino, vadano meglio. Ci sono ottimi giornalisti seriamente e solidamente cattolici, ma è molto difficile comunicare, garbatamente e in profondità, evitando quella che oggi si chiama la post-verità, al posto di fare lo scoop ad ogni costo circa la vita della Chiesa. È molto difficile! Questo per fare un cenno, ma poi oggi ci saranno altre urgenze, per esempio la capacità di ritorno alla terra.

L’equilibrio tra gli affetti e il lavoro è dato dal riposo. Quando torni a casa alla sera, anche stravolto, il fatto che tu sei con i tuoi, sei nell’orizzonte di una esperienza dell’essere definitivamente amato, al di là delle incomprensioni ecc, ti consente quel riposo che dà il ritmo giusto al lavoro, che riprende il mattino dopo, e agli affetti che stai vivendo. Sono rimasto colpito ieri sera, facendo la via Crucis di zona a Lecco. Quando la Via Crucis è partita, dei giovani hanno cominciato a insultare e a schiamazzare, palesemente ubriachi, e le autorità istituite, Prefetto, Questore, ecc. mi dicevano che l’incremento della droga e dell’alcool nei ragazzi di quindici anni è cosa che dovrebbe preoccupare assai di più.

Allora educare a una modalità di riposo che ritmi ed equilibri il lavoro. Questi sono tre contenuti diretti del compito educativo.

Grazie perché quella di oggi è un’esperienza che sento molto preziosa per la diocesi e per tutta la realtà sociale milanese.

Per vedere il video della registrazione dell’incontro cliccare qui e di seguito i testi delle testimonianze dei nonni intervenuti:

Testo: Ramorino
Testo: Zola
Testo: Scabini
Testo: Salvato
Testo: Rossi
Testo: Grimoldi
Testo: Ronchetti