Gender

“GENDER” E LA SCUOLA

Gender Riflessioni

Riportiamo qui sotto il contributo che Marco Dipilato ha offerto a chi ha partecipato alla nostra Assemblea straordinaria dello scorso 13 settembre 2015.

E’ utile farne conoscere il testo ai genitori, perché nonostante le assicurazioni del Ministro Giannini continuano nelle scuole di ogni ordine e grado azioni per l’infiltrazione della c.d. teoria “gender” nei programmi educativi come confermato ieri dalla senatrice Valeria Fedeli (relatrice del DDL che prevede l’introduzione dell’educazione di genere nelle scuole) che ad una domanda di Geppi Cucciari durante la trasmissione “Un Giorno da Pecora” ha risposto:

DOMANDA – Valeria ma è vero che vorresti introdurre l’Educazione di Genere nelle Scuole e nelle Università?
RISPOSTA della Fedeli – C’è già nella BUONA SCUOLA.

Chi volesse può scaricare il Podcast della trasmissione “Un Giorno da Pecora” del 28 settembre 2015 e dal minuto 3,59 al minuto 5,50 troverete tutto su scuola e unioni civili. Troverete il tutto su Youtube:

“La cavalcata del “gender” dall’Onu fino alla scuola dei nostri figli. E che cosa fare per fermarla”
di Marco Dipilato

Da diversi anni è in atto in Italia in modo non dichiarato un progetto di familiarizzazione e di legittimazione attraverso la scuola statale di quella che viene comunemente chiamata teoria del “gender”. La teoria secondo cui l’essere uomo o donna, maschio e femmina, non è qualcosa di innato bensì qualcosa che ciascuno ha il diritto-dovere di scegliere soggettivamente a prescindere dalle specificità psico-fisiche che lo caratterizzano.

Il cosiddetto “gender mainstreaming” è un processo che inizia già nel 1997 sotto il governo Prodi (Direttiva Prodi-Finocchiaro, D.P.C.M. 27 marzo 1997. Azioni volte a promuovere l’attribuzione di poteri e responsabilità alle donne, a riconoscere e garantire libertà di scelte e qualità sociale a donne e uomini) ma che ha poi forte impulso a seguito del recepimento nel nostro Paese, al tempo del governo Monti (con il Ministro del Lavoro Fornero), della “Raccomandazione CM/Rec(2010)5 del Comitato dei Ministri agli Stati membri del Consiglio d’Europa, sulle misure volte a combattere la discriminazione fondata sull’orientamento sessuale o sull’identità di genere”. Raccomandazione adottata dal Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa (organizzazione internazionale da non confondere con l’Unione Europea con la quale non ha nesso alcuno) il 31 marzo 2010 e recepita dall’Italia il 29 aprile 2013 con il piano triennale denominato Strategia nazionale per la prevenzione e il contrasto delle discriminazioni basate sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere (2013 -2015).

Da tale documento e dai suoi allegati reperibili nel sito dell’UNAR, (Ufficio Nazionale Anti discriminazioni Raziali) vengono fatte derivare nel nostro Paese attività didattiche che, con il pretesto di contrastare la violenza e la discriminazione, perseguono l’obiettivo di educare gli allievi a porre sul medesimo piano sia la sessualità secondo natura che l’orientamento e il comportamento omosessuali, che si vuole perciò vengano definiti e spiegati, a cominciare dalle scuole materne, come varianti equivalenti e normali nel senso originario della parola.

L’Ufficio per la promozione della parità di trattamento e la rimozione delle discriminazioni fondate sulla razza o sull’origine etnica (UNAR) è stato istituito con il decreto legislativo 9 luglio 2003, n. 215, di recepimento della direttiva comunitaria n. 2000/43 CE ed opera nell’ambito del Dipartimento per le Pari Opportunità della Presidenza del Consiglio dei Ministri.

Vale la pena di sottolineare che, come peraltro è chiaro sin dal loro nome, le raccomandazioni del Consiglio d’Europa non hanno alcun valore vincolante: perciò tale recepimento non era affatto dovuto. Inoltre chi abbia la pazienza di leggersi il lungo documento e i suoi annessi può facilmente rendersi conto che le sue indicazioni:

  1. non si riferiscono affatto specificamente alla scuola;
  2. sono molto più complesse e multiformi di come vengono raccontate. Dunque, come troppo spesso accade nel nostro Paese, all’insegna di “Ce lo chiede l’Europa”, qualcuno contrabbanda cose che in realtà ci chiede, anzi pretende lui.

Da allora, già a partire dalla scuola materna, nuovi materiali didattici, il cui obiettivo è quello di familiarizzare gli allievi con i concetti dell’identità di genere e dell’orientamento sessuale come scelta soggettiva, hanno così cominciato a venire prodotti e diffusi. L’equivoco sta nel fatto che si afferma un obiettivo del tutto condivisibile, quello di combattere la discriminazione fondata sull’orientamento sessuale e l’identità di genere, ma poi in realtà si mira a tutt’altro, ossia a introdurre surrettiziamente nei programmi scolastici l’insegnamento di una presunta totale normalità di ogni orientamento sessuale e identità di genere. Tutto questo aggirando le procedure previste per le modifiche dei programmi ministeriali, e quindi evitando la pubblicità e le consultazioni che tali modifiche implicano.

Come si è arrivati a questo punto?

Quanto al riguardo sta accadendo in Italia non è un fulmine a ciel sereno. Si tratta dell’esito di un  lungo processo cui purtroppo non si è tempestivamente prestata tutta l’attenzione che meritava. Alla sua origine c’è la teoria del “gender”(= genere), tipica del femminismo radicale nordamericano.

Uno dei suoi esponenti più noti è Judith Butler (Cleveland, Ohio, 1956), professore di filosofia politica ed etica all’università di Berkeley, California. Secondo Judith Butler, che insegna anche in Europa presso l’esclusiva European Graduate School di Saas-Fee (Vallese, Svizzera),“Il genere è una costruzione culturale, non è il risultato causale del sesso, né è fisso come il sesso. Il genere è una costruzione indipendente dal sesso, è un artificio libero da vincoli”.

Secondo la teoria del “gender” il sesso biologico non è e non deve essere il punto di riferimento nella formazione dell’identità sessuale della persona. Perciò bisogna intervenire fin dall’inizio del processo educativo per consentire la costruzione del proprio genere di appartenenza, liberi da ogni vincolo culturale che orienti all’eterosessualità come condizione naturale dell’uomo.

La teoria di genere identifica nella famiglia il maggior impedimento alla costruzione del mondo nuovo pienamente libero, perché è nella famiglia che, secondo questo pensiero, avviene il condizionamento sociale dei bambini.

Il cambiamento culturale deve iniziare dalla decostruzione dei ruoli all’interno della famiglia (marito, moglie, padre, madre). La famiglia determina la costruzione sociale della differenza uomo-donna. La fine della famiglia è dunque necessaria per tornare alla disponibilità verso qualsiasi forma di gratificazione sessuale.

La teoria del “gender” alla conquista degli organismi specializzati dell’Onu

Questa nuova antropologia diventa palese soprattutto nell’immagine della donna, nell’ideologia del cosiddetto “women’s empowerment” (= promozione delle donne), nata dalla Conferenza mondiale dell’ONU sulla donna che ebbe luogo a Pechino nel 1995. E’ questa il punto di snodo di un percorso culturale, ideologico, politico che era iniziato alla prima Conferenza mondiale sulle donne (Città del Messico, 1975) con l’apertura del dibattito sulla parità di genere femminile e maschile. Nel 1980, la seconda Conferenza mondiale, che ha luogo a Copenaghen, adotta la convenzione sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti della donna. Nel 1985, con la terza conferenza mondiale di Nairobi, il movimento per l’uguaglianza di genere guadagna rilievo globale. Si sostiene che la partecipazione delle donne alle decisioni e alla gestione di tutte le questioni umane, oltre che un legittimo diritto, è un’esigenza sociale e politica, di cui ogni istituzione deve appropriarsi. Nel 1995 Pechino – la quarta conferenza sulle donne, conviene sul riconoscimento della necessità di passare dalla focalizzazione sulle donne al concetto di “gender”. Come si può vedere, ciò che tipicamente caratterizza questo processo è un disegno di affermazione della teoria del “gender” che viene portato avanti sotto banco, al riparo di parole d’ordine su cui qualunque persona bona fide non potrebbe che essere d’accordo.

Dalla Conferenza di Pechino in avanti diviene di rigore l’uso del termine “gender” nei documenti ufficiali delle Nazioni Unite e quindi negli organi politici degli Stati, permanendo così quell’ambiguità, che ancora oggi fa gioco, per cui è sufficiente dichiarare la volontà di promuovere le pari opportunità delle donne rispetto agli uomini per poi passare quasi come attraverso una impercettibile dissolvenza alle politiche per la parità di genere che non riguardano solo le relazioni tra donne e uomini, ma includono ogni relazione tra individui, a prescindere dal loro sesso biologico e dal loro orientamento sessuale.

Come il Cardinale Ratzinger osservava nella prefazione al saggio di Schooyans sul nuovo ordine mondiale:

“Questa nuova antropologia è sostenuta da un’ideologia il cui scopo è l’autorealizzazione della donna che deve liberarsi da ciò che la impedisce: la famiglia e la maternità. Per questo la donna deve essere liberata, in modo particolare, in modo particolare, da ciò che la caratterizza, vale a dire dalla sua specificità femminile.

La donna viene chiamata ad annullarsi di fronte ad una “gender equality”, di fronte ad un essere umano indistinto e uniforme, nella vita del quale la sessualità non ha altro senso se non quello di una droga voluttuosa, di cui si può far uso senza alcun criterio”.

La situazione oggi in Italia e quello che si può fare

Un potentissimo apparato legislativo e mediatico è all’opera oggi anche nel nostro Paese al servizio del progetto di trasformazione del “gender” in una vera e propria ideologia. L’ideologia in quanto tale stabilsce una modalità di rapporto con la realtà che si fonda su un a priori astratto in base al quale la realtà stessa viene concepita e predeterminata.

I disegni di legge di questi ultimi anni:

  • delega per il riordino delle disposizioni legislative vigenti.”(art.1,comma 16, con il suo riferimento, per il tramite della legge n.119, al “piano straordinario d’azione contro la violenza di genere” e al codice di autoregolamentazione degli editori P.O.LI.TE.)
  • DDL Cirinnà: “Disciplina delle coppie di fatto e delle unioni civili” rappresentano l’ultimo miglio del processo sin qui descritto che ora, compiuto il suo percorso negli Organismi internazionali (Onu, Oms, Consiglio d’Europa), da essi procede verso i singoli Stati.

Che cosa fare dunque per contrastarlo?

L’esperienza dimostra che la sfera della politica non può essere un campo primario di contrasto di questo processo. Le forze che lo promuovono hanno infatti dimostrato di sapersi muovere con efficacia a livello mediatico e amministrativo evitando con cura il confronto culturale e il dibattito politico. Sono andate avanti da un governo all’altro mentre anche le maggioranze, che si presumeva potessero essere contrarie a sviluppi del genere, in tutt’altre faccende affaccendate le hanno lasciate fare

Nel caso italiano il processo si è avviato sotto un governo Prodi, ha preso slancio sotto il governo Monti e poi ha proceduto sotto tutti gli altri governi successivi “tecnici” o di sinistra che fossero. Si aggiunga che le forze di cui si diceva sono anche molto abili nell’indurre ordini e associazioni professionali a forme di pseudo-legislazione che sfuggono alle regole della democrazia. Ne sono un evidente esempio certe “Linee-guida” dell’Ordine dei Giornalisti e il caso del Codice di autoregolamentazione P.O.LI.TE. di cui diremo più avanti.

Malgrado poi l’Unione Europea non abbia competenza in campo scolastico, nel Quarto Programma d’azione (1996-2000) dell’Unione si delinea tra l’altro una politica europea delle pari opportunità estesa a tutti i settori e le azioni dell’Unione e degli Stati membri, compresa quindi la scuola. In tale prospettiva i libri di testo vengono individuati come “area particolarmente interessante per le politiche di pari opportunità nell’educazione”. D’altra parte già il 27 marzo 1997 il presidente del Consiglio italiano dell’epoca, Romano Prodi, impegnando ufficialmente il suo governo nell’attuazione agli impegni assunti nella Quarta Conferenza Mondiale sulle Donne di Pechino ai fini della “formazione a una cultura della differenza di genere” aveva individuato tra le azioni specifiche l’aggiornamento dei materiali didattici.

Veniamo al caso, cui accennavamo poco fa, progetto P.O.LI.TE. In forza di esso gli editori italiani associati all’Associazione Italiana Editori (ossia in pratica tutti o quasi) si sono impegnati a garantire che nella progettazione dei libri di testo destinati alla scuola vi sia attenzione allo sviluppo dell’identità di genere, come fattore decisivo nell’ambito dell’educazione complessiva dei soggetti in formazione. Ciò implica “una puntuale attenzione all’identità di genere, in tutte le produzioni destinate ai soggetti in formazione” alla luce di principi educativi ispirati alla “formazione di una cultura delle pari opportunità e al rispetto delle differenze”.

A titolo di esempio, facciamo il caso di ” Invito alla biologia”, un libro di testo edito da Zanichelli e in adozione dal 2014. Inaspettatamente anche in un testo di scienze fa capolino il “gender”. Vi si legge infatti tra l’altro che” l’identità di genere si riferisce alla convinzione interiore della persona di essere una donna o un uomo: questa di solito, coincide col sesso biologico, ma non è così per tutti”.

Tutto questo ci induce a concludere che la via maestra per il contrasto di questo processo sono la vigilanza e la mobilitazione delle famiglie degli scolari e studenti, che peraltro può avvalersi di uno strumento interessante che è meno noto di quanto meriterebbe. Si tratta di una circolare del MIUR del 22 novembre 2012 contenente un prezioso documento di Linee di indirizzo “Partecipazione dei genitori e corresponsabilità educativa” con cui il MIUR intende promuovere e riaffermare il ruolo delle famiglie. Il documento richiama l’attenzione sull’importanza dell’alleanza educativa tra scuola e famiglia fondata sulla condivisione dei valori e su una fattiva collaborazione delle parti nel reciproco rispetto delle competenze.

Si profila quindi la necessità e l’urgenza di una rinnovata partecipazione dei genitori quali componente attiva della vita scolastica. Anche il termine usato per qualificare il loro coinvolgimento non è più semplicemente “collaborazione”, bensì “corresponsabilità” e indica il ruolo fondamentale a cui sono chiamati quali primi educatori dei figli.

La loro presenza vigile, come singoli genitori (rappresentanti di classe, membri dei consigli di istituto) ma ancor più come genitori associati nei comitati o nelle associazioni di genitori rappresenta una reale possibilità di contrastare interventi educativi ideologici, non coerenti con gli orientamenti morali, filosofici, religiosi della famiglia.

Dopo la grande manifestazione di popolo del 20 giugno a Roma, il comitato promotore Difendiamo i Nostri Figli ha elaborato e messo a disposizione dei genitori utili strumenti per una presenza sempre più vigile ed efficace nella scuola. La raccomandazione più importante, oltre a quella della partecipazione, è quella di leggere attentamente il POF, Piano dell’Offerta Formativa che ogni scuola elabora ed è tenuta a far conoscere ai genitori. Anche una recente nota del Ministro [Prot. AOODGSIP n.4321 del 6/07/2015] richiama il dovere che i genitori hanno di informarsi rispetto al POF, il dovere cha ha la scuola di inserire nel POF la descrizione dei progetti di attività extracurricolari, e il diritto (nel rispetto della libertà di scelta educativa) dei genitori di scegliere di non far partecipare i figli ad attività delle quali non dovessero condividere i contenuti ideologici.

I documenti sono scaricabili dal sito www.difendiamoinostrifigli.it nella sezione “scuola”