Incontri Associazione Nonni 2.0

LA GENESI DEL GENDER

2015 Gender Incontri Riflessioni

Incontro con:

  • Incontro con S.E. Mons. Luigi Negri – Arcivescovo di Ferrara e Comacchio
  • la Prof.ssa Laura Boccenti, del Direttivo milanese del Forum delle Associazioni familiari
  • la Prof.ssa Raffaella Iafrate – Docente presso Università Cattolica del Sacro Cuore
Prof.ssa Laura Boccenti: Genesi del gender
 

Incontro con Laura Boccenti, del Direttivo milanese del Forum delle Associazioni familiari

Si tratta di una sfida culturale tra antropologie differenti. Punti che verranno trattati nella conferenza:

  1. Come la cultura umana occidentale interpreta la differenza sessuale tra uomo e donna
  2. Natura e libertà dell’uomo
  3. Origine storica e filosofica della ideologia del gender e agenda politica della ideologia gender

Punto I

Nella cultura occidentale sono state espresse tre interpretazioni della differenza sessuale tra uomo e donna.
La prima è l’interpretazione naturalista che si è affermata nell’antichità. La differenza era stata spiegata partendo dalle caratteristiche fisiche: l’uomo è superiore perché più forte e indipendente, non è soggetto alla gestazione ed alla cura dei figli. Sorge quindi un’organizzazione sociale che attribuisce compiti separati ed abbastanza esclusivi al singolo sesso. Si genera il paradosso di estendere a tutta la persona umana quella differenza, reale, che era stata individuata a partire dal dato fisico, senza tener conto che l’essere umano, oltre a differenziarsi nella corporeità, è soggetto personale. La sua fisicità è la sua espressione di essere persona.
La seconda prospettiva, personalista, è stata sviluppata principalmente nell’ambito cristiano e dai Padri della Chiesa e l’elaborazione che è stata fatta del concetto di persona ha influenzato tutta la riflessione filosofica anche non cristiana. Il concetto di persona umana riguarda la persona in tutta la sua complessità e considera le caratteristiche che la contraddistinguono: è capace di pensare, è libera, decide, è capace di autopossesso. Queste capacità sono espresse sia dall’uomo che dalla donna; invece di partire dal dato fisico, come nella precedente interpretazione, si considera l’uomo in tutte le sue manifestazioni personali, se ne riconosce la pari dignità e allo stesso tempo la differenza. La differenza sessuale è la condizione per entrare in relazione, per realizzarsi pienamente in una modalità profondamente dialogica. L’uomo non può realizzare se stesso se non attuando la propria relazionalità, non si riduce a dei ruoli sociali, ma ad un diverso modo di entrare in relazione. Sono figure identitarie, non funzioni, attengono al modo di essere persona. Si esprime un diverso modo di entrare in relazione con gli altri, l’uomo maschio esprime la paternità, l’uomo femmina esprime la maternità. San Giovanni Paolo II nel ciclo di catechesi straordinaria sull’amore umano, raccolta nel volume “Uomo e donna li creò”, interpreta la differenza sessuale partendo dalla prospettiva personalista: l’uomo è fatto ad immagine e somiglianza di Dio. Come l’unità di Dio non è l’unità numerica della solitudine ma l’unità che nasce dal dono d’amore all’interno della natura divina tra le persone della SS. Trinità, così Dio volendo scrivere nell’uomo la sua immagine e somiglianza, ha scritto il corpo come maschile e femminile, perché fosse capace di relazione profonda, di questo dono della persona che accade attraverso il corpo.

Nel 1900 si è sviluppata una terza prospettiva che parte dall’osservazione del corpo come materia corporea, con una visione dell’uomo che intende in modo nuovo la libertà, come possibilità infinita, svincolata dalla natura, usando il corpo come materiale biologico, di per sé irrilevante se maschile o femminile, per esprimere la propria libertà. La libertà è intesa come qualcosa che non deve tener conto della natura. Quello che conta è la decisione che l’uomo prende liberamente su di sé riconfigurando il proprio corpo di cui userà liberamente. Libertà è poter decidere tutto ciò che voglio, è superamento di tutte le dipendenze. Questa lettura della sessualità è molto presente tra i teorici del gender. La visione del gender è molto sfaccettata, non è un mondo monolitico. La sessualità, totalmente svincolata dalla natura, deve essere risignificata ed è nella assoluta disponibilità del soggetto, è nella disponibilità dell’individuo. La prospettiva del gender si incontra con la visione filosofica costruttivista che sostiene che la libertà costruisce il senso del corpo. Percepisco la mia affettività e corporeità maschile piuttosto che femminile a secondo di come la sento, di come la voglio costruire. Altra è la visione decostruzionista con cui si passa dalla teoria del gender al queer, che significa strano, obliquo, strambo: è il modo di vivere la sessualità in molteplici forme. Quello che uno trova alla nascita, che io trovo come dato, può e deve essere modificato, risignificato dal soggetto, è a disposizione dell’individuo. Il queer rifiuta il bimorfismo sessuale che l’uomo trova alla nascita, la sessualità può avere molteplici risposte (sono state censite 36 modalità di espressione della propria sessualità). I teorici del queer introducono degli elementi nuovi rispetto al costruttivismo che si esprimono nel polimorfismo e nel pansessualismo. Riguarda ogni persona che in qualsiasi momento della sua esistenza può sentirsi uomo, donna o altro e può mutare in qualsiasi momento. Laura Palazzani scrive un testo molto chiaro e completo sull’argomento “Sex gender, gli equivoci dell’uguaglianza”. La teoria queer rifiuta il fatto che le differenze che incontriamo in natura abbiano qualche senso.

II punto.

Cosa dobbiamo intendere col termine natura? Ciò che viene trovato, dato al momento della nascita. In termini giornalistici si intende l’ambiente. In ambito filosofico non si intende l’ambiente naturale e neanche tutto ciò che esiste, neppure ciò che fanno gli animali, perché non è proprio dell’uomo, neppure ciò che è innato, nel senso di biologico. La natura è il principio che guida ciò che esiste verso l’attuazione delle sue potenzialità attraverso un principio di finalità. Negare la natura significa negare l’identità delle cose. Se non c’è la natura non c’è un’identità delle cose, non c’è una natura data. Su questa prospettiva si gioca la visione dell’uomo. Significa negare che esista una verità dell’uomo, qualcosa che l’uomo è, che non si è dato da sé e che prescinde da lui, che lo voglia o no. Nella nostra cultura attuale non c’è l’uomo in sé, non c’è la verità delle cose, in senso ontologico, ma solo come pratica sociale, solo come ciò che funziona. Ma se la verità delle cose non esiste è a rischio anche la libertà. Quando si recide il legame tra verità e libertà si mina la libertà stessa. Si afferma un’idea astratta di libertà, assoluta cioè sciolta da ogni legame con la realtà data. Questa idea di libertà che è incominciata a penetrare nella cultura occidentale all’inizio dell’età moderna. è diventata un pensiero maggioritario: libertà di poter decidere tutto ciò che voglio come superamento di tutte le dipendenze. Il legame con la realtà, il fatto di essere genitori, figli, insegnanti, non è un giogo, è un vincolo che ci fa rispondere per quello che noi siamo. La concezione di una libertà come assoluta per cui rispondo solo a me stesso, recide tutti i legami con la realtà e provoca una deriva individualista nella cultura occidentale, porta con sé un’idea di indipendenza dell’uomo dalla natura. È vero che esiste una indipendenza dell’uomo dalla natura, tuttavia questa libertà non può essere intesa come non appartenenza. Ognuno di noi nasce in un contesto, in una città, da un papà, da una mamma, dentro una realtà che gli consente di esistere come persona, che ci fa esprimere come libertà di rispondere per quello che noi siamo. Altrimenti è una possibilità indeterminata e tutte le relazioni si ridefiniscono: col proprio corpo, con la natura, con gli altri uomini. Il rifiuto di questo legame con la realtà data, per cui rispondo solo a me stesso, è la nascita dell’individualismo all’interno della cultura occidentale e porta con sé anche l’indipendenza dell’uomo dalla natura. Il rapporto con la natura sarà inteso come progressiva conquista e dominio. La natura è lì per me, ne faccio ciò che voglio. L’individuo fa ciò che vuole del proprio corpo (ingegneria genetica) e dei rapporti con le altre persone. È il fronteggiarsi di due libertà assolute. La libertà sciolta dai legami reciproci si esprime esclusivamente tramite contratti generati dall’interesse individuale del momento. Ma i rapporti tra gli uomini non sono solo basati su un contratto, talvolta non dipende dalla volontà degli uomini ma anche da situazioni indipendenti da noi. La cultura moderna, considerando l’uomo in astratto, ha sostituito alla persona il concetto di individuo. A partire da questo contesto, dagli anni ’60 del secolo scorso, si è diffusa una visione dell’uomo e della sessualità che adesso è espressa dalla maggioranza del mondo politico e culturale. Sono gli orientamenti espressi dalla teoria di genere. Fino a qualche tempo fa si poteva dire che sesso e genere fossero sinonimi. Contro a questa visione si esprime Baker, secondo cui il genere è una costruzione culturale, non è il risultato causale del sesso, né è fisso come il sesso, ma è un artificio libero da vincoli. Da dove proviene questa visione? Citiamo, per spiegare, da un libro della Peters, studiosa del fenomeno, dal titolo “Il genere, una norma mondiale”: “noi mostreremo che il gender è stato concepito in alcuni laboratori di scienze umane legati all’intelligenzia post moderna occidentale negli anni ’50 ed è organicamente innestato nella rivoluzione femminista sessuale degli anni ’60 e’70, approfittando del suo dinamismo culturale .Verso la fine degli anni ’80 il gender, arrivato a maturità culturale, cristallizza gli obbiettivi della rivoluzione culturale occidentale e si impone come norma politica alla IV Conferenza dell’Onu sulla donna al Cairo”. Il femminismo radicale viene quindi individuato come filone organico alla diffusione della teoria di gender.

III punto

Tra i vari filoni che possiamo trovare all’origine di questa teoria gender il femminismo radicale ha una particolare rilevanza. Si afferma tra gli studenti in America negli anni ’60, sull’onda della contestazione, si allontana dalle rivendicazioni di stampo liberale e si orienta come rivendicazione contro l’ordine costituito. Alla fine degli anni ’60 gli studenti americani ed europei leggono Marx ed Engels. Nel 1894 Engels scrive un saggio intitolato “L’origine della famiglia, della proprietà privata e dello stato” e individua l’inizio della schiavitù della donna nel l’istituzione della famiglia monogamica. Secondo lui, nella preistoria, non esisteva la famiglia ma gli uomini vivevano in comunità allargate, una sorta di collettivo, fondato sul matriarcato. La proprietà privata ed il matrimonio monogamico non esistevano. Successivamente i maschi hanno avuto la pretesa di conoscere la propria paternità ed hanno schiavizzato la donna nel matrimonio creando la famiglia monogamica e di conseguenza la proprietà privata necessaria al mantenimento della famiglia.
Per il femminismo radicale, punto importantissimo, alle radici c’è la schiavizzazione, la sottomissione dal punto di vista sessuale e riproduttivo. L’essere madre della donna è visto come intollerabile sottomissione. Liberare la donna per mezzo della contraccezione, dell’aborto e del rifiuto della famiglia è l’obbiettivo della rivoluzione femminista. La rivoluzione comunista, secondo il femminismo, aveva sbagliato obbiettivo individuandolo nella abolizione della proprietà privata, che è solo un effetto della famiglia monogamica. L’obbiettivo principale è eliminare la famiglia monogamica. Questa visione si combina con il costruttivismo che sosteneva sesso e genere come una costruzione sociale e politica, secondo una molto nota affermazione di Simone de Beauvoir: “donne non si nasce ma si diventa”. Dopo gli anni ’80 il femminismo radicale si elitarizza. Vengono istituiti negli atenei americani circa 800 dipartimenti che avevano l’obbiettivo di elaborare una visione culturale del mondo diversa da quella maschile. La cultura femminista si propone di sostituire quella maschile, guerrafondaia, patriarcale con una cultura di uguaglianza, di pace. La teoria del gender va ad occupare un posto centrale nella cultura femminista. Il luogo di scontro culturale si focalizza nei luoghi di influenza. Nelle università, nelle organizzazioni internazionali, ONU, Unione Europea e nei media. Le università americane si propongono di realizzare questa meta di rieducare l’umanità attraverso un’operazione di main streaming che si propone di trasferire le idee da un’élite verso tutta la società attraverso una manipolazione delle procedure burocratiche istituzionali di alcune istituzioni internazionali. Così è accaduto nelle conferenze di Pechino e del Cairo. Al Cairo, mentre si parlava di diritti riproduttivi, “l’Istituto internazionale di ricerca e training per l’avanzamento delle donne” afferma che è opportuno rinegoziare i confini tra il naturale e la sua inflessibilità e il sociale e la sua relativa modificabilità. La terminologia di gender non era ancora conosciuta.
A Pechino i delegati incominciano a chiedere precisazioni a proposito di queste affermazioni ripetute sulla distinzione tra genere e sesso. Risponde Bella Abzug, ex deputato Usa, che il senso del termine genere si è evoluto differenziandosi dal sesso. Secondo questa teoria la differenziazione del sesso tra uomo e donna non è dipendente dalla natura è costruito dalla cultura ed è diverso in ogni società. È un effetto delle cosiddette assegnazioni normative, la differenza tra uomo donna non avrebbe alcun fondamento nella realtà ma è fondato su pratiche politiche per l’esclusione di chi è diverso, la donna, come soggetto debole, e costruisce dei ruoli sociali che possono essere decostruiti. Già l’assegnazione del nome è una pratica di potere, un’assegnazione normativa, che obbliga l’individuo, mentre secondo costoro l’identità di genere, cioè che io mi senta uomo o donna, non è legato alla natura, non delinea una fisionomia stabile perché l’identità della persona è fluida. È il potere che utilizza il linguaggio come arma per attribuire un’identità sessuale. A questo punto l’ideologia gender conia un linguaggio, una strategia linguistica per promuovere il proprio progetto culturale, ad esempio: non utero in affitto, ma maternità surrogata. Si costituisce un dizionario di neo lingua, tali sono le indicazioni consegnate ai giornalisti per utilizzare le espressioni più adatte per determinati argomenti. La libertà costruisce il senso del corpo, percepisco la mia corporeità piuttosto maschile che femminile. Il sesso è e deve essere costruito idealmente, dalla cultura. Dato il suo collegamento con il femminismo radicale è inevitabile che individui nella famiglia il maggior impedimento per un mondo nuovo pienamente libero perché è la famiglia il luogo dove avviene il condizionamento sociale dei bambini.
Quindi è dalla famiglia che deve iniziare la decostruzione dei ruoli: marito-moglie, padre-madre. La fine della famiglia viene vista come la fine della costruzione sociale uomo-donna, quindi la distruzione della famiglia è la condizione che rende possibile ritornare alla sessualità polimorfa originaria. Il problema è che la teoria di genere si scontra con visioni antropologiche differenti e quando comincia a tradursi in un’ideologia e tocca un impianto legislativo vincolante sorge un problema. Avviene quando l’Unione Europea nel 2010 emana le raccomandazioni per l’eliminazione delle discriminazioni di genere. A partire da questa raccomandazione, che l’Italia ha raccolto, il Dipartimento pari opportunità ha costituito un gruppo di lavoro ed è stato affiancato dalle parti sociali, ma solamente da alcune parti sociali, tutte provenienti da gruppi pro-gender. Questo gruppo di lavoro ha fatto nascere la Strategia nazionale, che si può visualizzare sul sito dell’UNAR. Essa ha individuato alcuni assi: educazione e istruzione, sicurezza e carceri, comunicazioni e media, quindi è penetrata in modo invasivo in tutti questi ambiti. A questo punto si pone una domanda fondamentale: LA DIFFERENZA SESSUALE è costitutiva o no dell’identità della persona? Se questa differenza è inessenziale può essere trattata come preferenza soggettiva ma se la differenza rientra nella costituzione della persona allora si tratta di difenderla e di farla maturare.
Difenderla nell’ambito educativo perché si tratta di piccoli che devono imparare, non sono in grado di avere consapevolezza. Ribadendo che femminilità e mascolinità sono figure identitarie, non sono solo manifestazioni soggettive, ma funzioni, ed hanno compimento maturo nella paternità e maternità. Implicano la consapevolezza sempre più profonda della differenza ma anche la consapevolezza della reciprocità ontologica: essere ciò che si è, consapevoli della propria specificità, per rendere possibile all’altro ciò che deve essere. È importante che un piccolo abbia di fronte a sé una figura di identità con cui identificarsi. Questo entra nel merito del dibattito politico. Un piccolo ha bisogno di imparare cos’è la mascolinità e la femminilità, se maschio e femmina sono due modelli d’identità e, pur nelle imperfezioni che tutti hanno un padre e una madre, sono le figure indispensabili per la crescita di un piccolo uomo.

Prof.ssa Raffaella Iafrate: Educazione all'affettività
 

Non è così scontato avvicinare il termine educazione al termine affettività, non si può parlare facilmente di educazione degli affetti, in quanto la nostra è una cultura sbilanciata verso la dimensione emozionale sradicata da una dimensione di ethos e di norma, per affettività quindi si intende “fai quello che ti senti, segui il tuo cuore”. Invece la parola educare etimologicamente vuol dire e-ducere, che significa tirare fuori qualcosa ma anche condurlo verso qualcos’altro. Se si parla di educare la dimensione affettiva significa che essa non basta a se stessa, che va direzionata. Questo è esattamente il contrario di quel va dove ti porta il cuore che equivale a lasciar sfogare un istinto. Ma ci sono segnali evidenti di un bisogno, che non viene raccolto a livello sociale già nell’età dell’adolescenza, per cui in realtà tutto quello che è passionalità, sentimento, emozione va orientato. Alla dimensione affettiva si accompagna anche la dimensione istintuale-aggressiva; ora, mentre sull’ aspetto aggressivo vengono indicati dei limiti, per esempio quelli previsti dalla legge, sulle altre componenti della dimensione affettiva non c’è nessuna orientamento, perché si ritiene che alcuni istinti sono sempre buoni, mentre altri sono punibili. Dunque un titolo come quello di oggi nel contesto in cui ci troviamo può essere provocatorio, oggi possiamo trovarci davanti a persone che hanno sviluppato moltissimo la dimensione cognitiva, ma che sono assolutamente infantili sul piano affettivo.
Il rischio è questo: ridurre l’affetto all’emozione, cioè ridurre lo spazio di relazione con l’altro all’esclusiva realizzazione dei propri bisogni e desideri, ci manca lo spazio per pensare alla differenza tra la componente emozione e quella, più ampia dell’affettività. Ci mancano gli strumenti per riuscire a fare una distinzione tra i due termini, affetto ed emozione. L’etimologia di emozione è da e-moveo, faccio uscire sgorgare, mette in primo piano chi sperimenta le emozioni sottolinea quindi la valenza di bisogno da soddisfare, il bisogno di esprimere qualcosa. Affetto deriva dal verbo afficio nella sua forma passiva, vuol dire essere colpiti da qualcosa di esterno, il termine rimanda all’incontro con un altro che mi muove: l’affetto non si può provare se non c’è un altro, l’emozione sì. Ma allora l’affetto supera la mia individualità, apre all’ignoto dell’incontro con l’altro, a sua volta la parola in-contro parla dell’essere con qualcuno e anche contro qualcuno. Io sono diverso dall’altro, l’altro è ciò che non sono io, io non sono ciò che è l’altro. Questa è la chiave di lettura del problema, la identificazione di affetto ed emotività è una riduzione dell’affetto. Altra differenza: l’emozione è contestualizzata nel qui e ora, nella brevità nel tempo, invece l’affetto è caratterizzato da tempi molto lunghi e dalla storia delle persone. L’affettività è ricordo del passato ed è progetto verso il futuro. L’emozione può far scattare un affetto, ma, se non è coltivata nei tempi lunghi, non diventa affetto. La dimensione affettiva apre al relazionale, corrisponde ad una esigenza profonda dell’essere umano. Una persona nella sua più profonda natura è relazione: il mio nome non me lo sono dato io, il mio cognome deriva da una storia. Dunque la dimensione affettiva profondamente esprime l’umano, ad esempio lo star male è legato problemi relazionali. Un altro elemento che distingue molto chiaramente l’affetto dall’emozione è che l’emozione segue il principio del piacere, rifiuta le emozioni negative, cerca le emozioni positive, a meno che non ci sia una patologia masochista; l’affetto non necessariamente cerca immediatamente il piacere, a volte siamo disposti, nelle relazioni affettive, a rifiutare un piacere immediato attendendo che la persona ci raggiunga, vedi i genitori nei confronti dei figli. C’è in questo una dimensione etica, cioè una dimensione che ci supera dal punto di vista della nostra individualità e dunque è connessa ad una dimensione relazionale, ad un livello umano più profondo. Quindi nei confronti dei giovani e degli adolescenti è importante aiutarli a capire che quella emotività che vivono è fatta per avviarsi alla affettività.
Per arrivare ora al rapporto con l’altro sesso è importante capire che parliamo di emozionalità in campo sessuale quando proviamo sia un’emozione sia un affetto. Significa che ognuna di queste dimensioni è sessuata. Noi lavoriamo con una studiosa che ha fondato un gruppo che si chiama “the star”; lei dice che quello che vive un essere umano sin dal momento del concepimento è un’esperienza sessuale infatti la persona fa l’esperienza del sé quando comincia ad avere l’esperienza corporea: Il bambino attraverso il corpo materno si concepisce come persona , la percezione del sé passa attraverso il corpo. Questo io col suo corpo o è un io isolato o è un io in relazione, si tratta di capire se a dominare la scena è un corpo per le emozioni o un corpo per l’altro. A monte dell’educazione sessuale c’è questo dilemma, l’educazione sessuale può mostrare una potenzialità enorme di se stessi, oppure ridurre il sesso a sola esperienza emotiva, indicando un’esperienza del corpo di tipo narcisistico, chiuso in se stesso. La concezione narcisistica del corpo non è implicata solo nell’educazione sessuale, ma è una mentalità permeante, vedi tutto quel mito del corpo, dello star bene, dell’essere soddisfatti del proprio corpo, del Fitness. Ne consegue che chi non è allineato su questi modelli è inferiore… da cui tutti i malesseri. Abbiamo perciò una sorta di attacco al corpo, ad un corpo che si può fare e disfare come ci pare, che si può superare e trasformare a proprio piacimento. E qui si può aprire tutto il capitolo del gender. Ma se da una parte lo attacco, lo nego, lo distruggo, lo rifaccio, dall’altra parte lo metto al centro narcisisticamente, ossessivamente. Secondo un’espressione di Carmelo Vigna, Il corpo è divenuto il luogo disordinato dell’io, il corpo dell’uomo contemporaneo sembra il luogo della contraddizione: servito e vezzeggiato all’esterno, è invece sovente violato dall’interno perché I moti dell’animo vi spadroneggiano, ciò in qualche modo spiega i corsi e ricorsi dell’ossessione dietetica, il trattamento di chirurgia estetica, l’uso indiscriminato dei farmaci, la tentazione delle droghe, la sessualità intesa come puro sfogo degli istinti del corpo. In altri termini è un ordine che si deve fare e rifare in modo continuo perché l’interno tende costantemente a disfare l’esterno. La prospettiva narcisistico individualistica è una prospettiva che non si incontra non armonizza con la natura più profonda dell’uomo che abbiamo detto prima, quella relazionale. La persona sta male perché vive come uno scollamento e quel curarsi di sé dal punto di vista corporeo diviene una ossessione. La chiave di lettura per vedere nella giusta prospettiva è la chiave di lettura relazionale, il mio corpo fa i conti con un altro; il corpo è confine col quale devo fare i conti. Il corpo come confine con l’altro, da cui il piacere di una vicinanza o di una lontananza fisica Se ci pensiamo il corpo è anche la parte mortale di noi. Dunque il corpo come confine e come senso del limite. L’aspetto bello di questo è che il corpo diviene Il mediatore privilegiato del rapporto con l’altro, diviene il più potente strumento di comunicazione che ho, diviene potente strumento di comunicazione con l’altro, così che posso esprimere il mio corpo come un dono per l’altro. Tutto questo, contrariamente all’idea narcisistica che o espelle l’altro o lo fagocita, vedi le situazioni tragiche di cui tanto si parla: “se non puoi essere mia non puoi essere di nessun altro, quindi ti elimino”. Un corpo che ci richiama al confine e al linite, non è una cosa brutta, anzi si può osare dire una cosa molto profonda: il corpo mi consente di diventare quasi Dio, perché io posso dare la vita. Ma è la differenza dall’altro, è l’incontro con l’altro diverso da me che rende possibile uscire dal proprio narcisismo e, addirittura, di dare la vita a qualcun altro. Forse è questo che si vuol dire quando si dice il corpo a immagine di Dio. Qui si fonda la caratteristica dell’essere umano, il generativo, come se il corpo nella sua concezione relazionale ci realizzasse nella nostra umanità più profonda, ci permettesse di uscire dal nostro individualismo e dare la vita per gli altri. Il corpo ci parla di due questioni fondamentali dell’essere umano: la questione della propria origine e quella del proprio scopo. Quando io guardo un corpo, vedo l’origine del corpo, pensate ai tratti somatici dei parenti che rivela. E’ la domanda sull’origine continua e pulsa dentro di noi. Il corpo ci parla anche dello scopo perché nella sua differenza sessuale il corpo può procreare. Noi viviamo in un clima culturale di autodeterminazione, pertanto di censura dell’altro, di quello che precede l’altro e della sua storia. Lo testimoniano ad esempio le coppie che si sposano e dicono “io non sposo i suoceri”.
La nostra cultura fa una censura sul problema della differenza, c’è di mezzo la fantasia onnipotente del superamento del limite, e del limite di essere generati; poi è cultura centrata sul qui e ora… ebbene in questa cultura il corpo urla la sua origine chiede il suo progetto. C’è una sfida continua alla dimensione progettuale procreativa che il corpo porta con sé, alla dimensione dell’origine e quindi al suo limite intrinseco. Potremmo dire che soltanto esistendo noi diamo già una sferzata alla cultura dominante. Il corpo in relazione porta con sé le differenze fondamentali dell’umano che riguardano la sfera biologica ma anche sociale. Infatti anche nel campo sociale è proprio dalla valorizzazione delle differenze che noi otteniamo qualcosa di nuovo. Ma vale anche nella sfera del pensiero Insomma se non ci fosse l’incontro con l’altro non andrebbe avanti il mondo. Lo psicologo Erickson ha puntato proprio su questo, lui diceva che uno è adulto proprio quando è generativo e connetteva questo al corpo: un adulto è in grado di generare solo se è in grado di generare anche dal punto di vista psichico e sociale, si è adulti quando si va oltre se stessi e si è capace di generare le nuove generazioni. Secondo Eugenia Scabini, con cui ho lavorato, la generatività è prendersi cura dei figli degli altri come se fossero nostri figli. È l’esperienza genitoriale in senso forte e sociale. Dunque lo scopo della vita umana e essere generativi. Spesso mi viene però detto che è troppo alto come obiettivo, io propongo di pensare il contrario della generatività, che è l’essere stagnanti: proviamo a pensare alla stagnazione e pensiamo alla nostra società attuale… non c’è stata mai una società così stagnante come quella attuale, dove i giovani non hanno futuro, dove è stato censurato il sogno e non sanno cosa faranno da grandi.

Precisazioni emerse nel dibattito

In sintesi, occorre lavorare sulla differenza con l’altro perché la generatività è collegata a questo e all’accettazione dell’essere limitato. Solo se accetti questo sei generativo
In fondo il discorso del gender – non accettare il limite posto dal sesso della nascita – rivela una grande paura della morte. Una persona che ha paura di vedere il suo limite in qualche modo lo nega a tutti i livelli e a maggior ragione nega anche quelli più profondi su cui è stata fondata l’umanità.
Occorre spazio per pensare queste cose che, come ci siamo detti, sono in fondo di buon senso. Dietro lo stravolgimento antropologico del nostro tempo sta la mancanza dello spazio per pensare. Forse più che sul tema della generatività oggi si può trovare un accordo sul tema della felicità, tanto sottolineata. Felice dal latino vuol dire anche generativo, essere felici vuol dire essere generativi. Se la gente riflette sul momento in cui è stata felice, quindi sulla propria esperienza, può capire che si è felici quando si dà spazio all’altro, quando si riesce a vivere in maniera armonica con la propria origine e i propri progetti
Per quanto riguarda il luogo dell’educazione all’affettività, la famiglia è quella più abilitata in linea teorica, non può essere lo Stato che se ne fa carico ma in fondo che anche nella scuola ci si occupi nella persona della sua interezza e delle istanze di tipo affettivo delle persone è cosa positiva. Ma se diviene un dialogo che esclude la famiglia è negativo. L’importante però, sull’educazione all’affettività, è confrontarsi sugli aspetti fondativi. E’ anche importante creare luoghi di formazione per le famiglie e non smettere di fare questo, per esempio usando anche i momenti in cui le famiglie si avvicinano alle parrocchie, magari solo in occasione delle cresime o di quant’altro. La comunità ecclesiale deve farsi carico di questa vicenda e formare le famiglie, aiutarle a ragionare su cosa voglia dire essere genitori, su cosa voglia dire fare famiglia. Oggi il dialogo coi figli non c’è non tanto per la mancanza di tempo ma perché i genitori non hanno più risposte da dare ai figli, i genitori devono fare anzitutto un lavoro su se stessi: i giovani anche quando, bambini, fanno i capricci e non vogliono dormire nel lettino, sono portatori di queste grandi domande.
Importante è far emergere le domande dei ragazzi piuttosto che dare un pacchetto d’istruzioni
A proposito del come si fa l’educazione sessuale a scuola, e in particolare la attuale educazione gender, si fanno discorsi preconfezionati, sia per una posizione ideologica, sia per l’incapacità di dare risposte personali e per il fatto di non avere riflettuto sulle cose di cui si sta parlando.
Ad un adolescente che biologicamente è già in grado di procreare ma non è ancora adulto si devono far capire le enormi potenzialità che ci sono nel suo corpo, il loro valore, e aiutarlo a non fermarsi alla pura soddisfazione di istinti, deve riflettere su quello che fa e non vivere solo come si sente. Sottolineare questo potrebbe dare senso a tanti temi della “attesa, del non essere ancora preparato”, che sono stati messi da parte. Con questa sottolineatura delle enormi potenzialità si ripropone una ricchezza che altrimenti verrebbe persa e ci sarebbe un appiattimento a livello puramente istintuale che non soddisfa. Contrariamente alla mentalità questo non è impedire la libertà ma aiutare la libertà a implicarsi con ciò che maggiormente caratterizza la persona. Occorre sottolineare le categorie antropologiche che stanno sotto la questione della sessualità e non tanto le categorie morali; i cristiani spesso vengono presi come coloro che hanno una rigida dottrina e la vogliono applicare, invece dobbiamo testimoniare che la nostra posizione è quella di chi riflette e va fino in fondo al senso dell’umano.
La riduzione della dimensione affettiva a quella emozionale. La differenza tra emozione e affettività, cioè tra soggettività e relazionalità, che corrisponde alla natura profonda dell’essere umano.
L’implicazione del corpo e della sessualità nell’emozione e nella affettività, la concezione narcisistica del corpo, la concezione generativa, cioè una antropologia che valorizza l’umano.

Video degli incontri tenuti al Rosetum di Milano nella primavera 2015
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