Incontro del 23 gennaio 2017

LAVORO SUL TESTO DI GUARDINI “LE ETÀ DELLA VITA”

2017 Incontri

Libro "Le età della vita" di Romano GuardiniLunedì 23 gennaio sera, nel bel Auditorium del Centro Culturale di Milano, ci siamo ritrovati in molti, Nonni 2.0 e loro amici, per ascoltare la intensa lezione sul libro di Romano Guardini “Le età della Vita”, offertaci Don Alberto Cozzi che, col garbo, la delicatezza e la precisione che gli sono propri, ci ha fatto entrare nelle profondità del testo.

Incontro del 23 gennaio 2017Un cammino difficile senza una guida sicura e acuta.

Ricchi anche gli spunti emersi dalle domande del pubblico che hanno dato modo al relatore di cogliere e chiarire aspetti ancora più puntuali della figura del nonno.

Chi non ha potuto partecipare, trova in allegato una nota sintetica dei punti trattati, nonché un ulteriore allegato contenente il testo delle relazioni dei successivi interventi. Inoltre sul sito Youtube l’intera videoregistrazione dell’evento.

La positività dell’evento ci ha confermato l’impostazione che ci siamo dati di “nonni” portatori di testimonianze indispensabili, per la formazione di giudizi ai quali riferire la quota del processo educativo dei nostri nipoti, che naturalmente ci spetta.

Pierluigi Ramorino

<strong>Introduzione (Giuseppe Zola)</strong>
 

Perché questo incontro? Perché viviamo in una società dove è difficile affrontare i temi essenziali della vita, il tema del senso della vita e del compito che dal senso della vita deriva per ciascuno di noi singolarmente ma anche nella società più grande e in famiglia. L’Associazione Nonni 2.0 parte dall’idea che invece la vita abbia un senso contrariamente a quanto Vasco Rossi racconta ai nostri nipoti. Per questo vogliamo affrontare il compito dei nonni e più in generale dell’anziano. L’età che abbiamo ci impedisce di non pensare che il rendiconto finale si sta avvicinando e quindi desideriamo essere fedeli fino in fondo al compito che il Signore ci ha affidato. Il tema di questa sera riguarda non solo i nonni ma tutte le età della nostra vita. Diamo importanza a questo incontro perché ci aiuterà ad approfondire in modo probabilmente decisivo i due temi del senso della vita e del compito che abbiamo in essa. In questi due anni siamo già stati aiutati, per esempio della professoressa Scabini col suo magistrale intervento sul tema del passaggio tra le generazioni. Questa sera ci affidiamo a un libro non conosciutissimo ma importante di Romano Guardini; dialogherà con l’autore del libro don Alberto Cozzi che è vicepreside della Facoltà di Teologia. Don Cozzi ci ha mostrato da tempo una affettuosa amicizia. Attualmente l’età anziana viene presentata solo come persone che hanno bisogno di essere assistite, certo c’è anche questo aspetto ma c’è anche l’aspetto per cui fino alla fine possiamo comunicare a tutti che c’è un senso positivo della vita. Lascio la parola a don Alberto, dopo la sua relazione ci sarà spazio per le domande. Infatti i nostri incontri sono incontri di lavoro non spettacolo cui assistiamo, per cui l’aspetto delle domande è importante. Infine ringrazio il Centro Culturale di Milano, è la prima volta che veniamo in questa sede, speriamo che seguano altre volte in modo da rinsaldare i rapporti. La parola a Don Alberto.
Don Alberto Cozzi
Vi ringrazio dell’invito e faccio due premesse fuori dal testo consegnatovi, poi seguo quelle del testo e poi, come vedete, nel testo che vi ho dato ci sono dei brani che vi chiedo di leggere insieme (il relatore utilizza un testo che ha distribuito, che poi legge in buona parte, n.d.r)
Prima premessa fuori testo: cerco di rubarvi non più di 40 minuti, seguendo la precisazione di Romano Guardini, quando dice che in verità nessuno può capire le cose che si dicono su una fase della vita se non la si sta vivendo o non la si è vissuta ancora, per cui mi sento un po’ in anticipo a dare un contributo come cinquantenne ai nonni sulle età della vita. Ecco perché preferisco leggere con voi alcuni brani per sentire poi, con curiosità e rispetto, come voi vivete questa fase della vita, come voi reagite, cosa sentite, cosa correggereste rispetto a quello che l’autore propone. Poiché è un testo suggestivo credo che la reazione possa essere interessante. Seconda precisazione fuori testo: per quanto ho capito, vi raccomanderei di non cercare di identificare cronologicamente queste fasi, Guardini evita di farlo ma soprattutto ci dà la percezione che la vita è un continuum una unità che pure vive di stagioni, fasi, età, ma il cui passaggio è fluido. Non è così facilmente determinabile il quando io sono in quella fase della vita, il come ci arrivo, il come mi capita di esserci. Se questi passaggi sono abbastanza fluidi, c’è solo un passaggio in cui Guardini sembra dare una precisazione: la transizione da un età giovane a quella adulta avviene tra i 20 e 40 anni. Dunque c’è una indicazione per la cosiddetta età adulta, la maturità o il cosiddetto disincanto. Poi arriva l’età dell’anziano o dell’uomo saggio che, dirà Guardini, va dai 65 anni in poi, poi c’è la fase senile. A questo proposito una precisazione: avete la traduzione del ‘57, ma c’ c’è un’edizione del ‘59 che adesso si trova nell’opera Omnia, pubblicata nel 2015 nell’ Etica, Qui si trova un’aggiunta sull’ età senile. Trovo interessante questa questione della fluidità delle fasi della vita, parafrasando Agostino: se io ti ascolto sul tempo io so di cosa parli ma se mi chiedi di definire il tempo e dire cosa sia, non saprei proprio. Noi abbiamo un‘immaginazione su cosa sia un bambino, abbiamo addirittura l’immaginazione pratica di come ci si dovrebbe comportare con un bambino, ma se ci viene chiesto cosa sia l’infanzia non è facile dare una definizione. Dico queste cose perché Guardini lancia una sfida interessantissima, che è quella della sapienza sulle età della vita, non di un sapere specialistico, di una sapienza che ci aiuti ad abitare le età della vita senza una pretesa definitoria. Per questo è un autore che mi sentirei di raccomandare, per la sfida che pone della fede che sa cose e genera una sapienza per abitare il tempo e leggere la realtà.
Fatte queste due premesse fuori testo, in quello tra mano avete tre premesse molto semplici La prima: Guardini è stato un filosofo e teologo sui generis, un pedagogista sui generis, un interprete di letteratura sui generis. Forse si potrebbe tradurre questo “sui generis” dicendo che è stato un pensatore di frontiera cioè non era interessato a un sapere specialistico ben delimitato ma ad una sapienza che, per un verso, permettesse alla realtà di apparire come è e, per l’altro, consentisse di vedere come la realtà in quanto tale a sua volta provochi ad una sapienza sintetica. Non disprezzava i saperi specialistici, ma urgeva perché questi saperi arrivassero ad un sapere sintetico sulla vita, nella quale altrimenti ci si perde in tanti frammenti. Seconda premessa: il testo che avete giù all’ingresso ha conosciuto almeno 9 redazioni Avete l’edizione del ‘57 della Jaca Book, ma c’è una edizione del ‘59 che adesso è nell’Opera Omnia, dedicata agli scritti sull’Etica, che contiene l’aggiunta dell’ingresso nell’età senile. Dunque questa parte non c’è nella edizione che avete, c’è nell’Opera Omnia del 2015. Io mi sono permesso di aggiungere a pagina 4 un approfondimento tratto dall’età senile. L’ho fatto consapevole che non ha sbagliato Vita e Pensiero a non metterlo nelle sue edizioni perché Guardini è molto indeciso: l’età senile non è propriamente una nuova fase della vita, non aggiunge molto alla fase precedente ma porta avanti un certo decadimento psicofisico che intensifica i tratti dell’età della saggezza.
La terza premessa che avete nel testo riguarda l’argomento del libro, e spendo solo una parola per dire che l’opera è stata molto ammirata ma non ci sono in ambito teologico-filosofico molte riprese di questa tematica. Sarebbe interessante chiedersi perché; una risposta è che i comportamenti sulle varie fasi della vita sono oggetto dei saperi specialistici, ne derivano, così ci sono tanti approfondimenti, ma, lo dico da teologo, la teologia non si è mai misurata con Guardini circa la fede nelle varie età della vita. Eppure ci dovrebbe essere una sapienza sulla fede di un bambino che non è quella di un adolescente, così come la fede di un adulto non è la fede di un anziano, certo è un’unica fede, eppure essa, negli stadi della vita, ha un funzionamento diverso. Oggi ci sarebbe un’urgenza di questo lavoro perché non è più consensuale il modo di essere bambini, o il modo di essere anziano. Non c’è più un costume condiviso che lo renda così pacifico.
Veniamo all’opera di Guardini; in fondo a pagina 1 con il titolo “Impostazione di Guardini” mi permetto di sottolineare alcune cose riguardo al suo metodo. Guardini applica alle fasi della vita il suo metodo, quello dell’opposizione polare, cioè di due contrari che non sono contraddittori, che non sono fasi che si superano, ma invece sono due contrari che chiedono di essere sintetizzati in una sorta di armonia superiore all’interno di una decisione. La prima grande polarità è tra fase e complessità/unità della vita. Sottolineo questo aspetto perché Guardini afferma, usiamo un termine Balthasariano, che si deve percepire il frammento nel tutto e il tutto nel frammento. Significa vivere nell’età della vita che viene affidata la totalità, la sua unità di senso. Leggo in fondo a pag. 1 le ultime tre righe: “Essa si basa sulla dialettica tra la fase a la totalità; così il modo con cui si stabilisce l’articolazione in fasi spesso dipende dall’importanza accordata alla totalità della vita rispetto allo snodarsi di una fase dietro l’altra.” Il bambino non è un uomo diminuito, un non ancora uomo, il bambino è pienamente uomo al modo del bambino, l’anziano non è un adulto svuotato, l’anziano è un pienamente uomo nel modo dell’anziano. C’è una totalità nelle età della vita, dice Guardini, che non devi smarrire. Leggo la citazione in alto a pagina 2 dell’Etica, indica l’idea di organismo vivente che ha una sua struttura, una sua intelligibilità dove le parti hanno senso nel tutto e il tutto nel rimando alle parti… “Tutto ciò che esiste ha una forma. Le sostanze organiche sono strutturate da molteplici relazioni che le costituiscono. Queste strutture offrono contesti di esistenza non scomponibile, ma costituenti totalità unite che tendono a perpetuarsi: gli elementi sussistono già da sempre come inseriti nelle forme, in modo tale che ciascun elemento rimanda alla totalità, la totalità a ciascun elemento e ciascun singolo elemento ad ogni altro.” (Etica,496-498)
Io cerco nel bambino la persona, nell’anziano la persona e non dei frammenti non collegati che avrebbero senso in sé e per sé. Così devo trattare il bambino da bambino ma rispettando quella totalità dell’uomo, della persona che in lui si realizza, devo trattare l’anziano da anziano ma rispettando quella totalità personale che in lui si realizza. A pag. 2, per caratterizzare questo opposizione polare di Guardini, io faccio un’osservazione molto semplice: a me pare che Guardini ci ricorda due cose. Primo: l’idea della profondità: tu devi considerare ogni fase della vita sullo sfondo di quella totalità che dà significato, che ci realizza, anche la tua fede deve essere un’ipotesi di senso totale e totalizzante. Secondo: la correlazione, cioè percepire ogni fase in correlazione con le altre. Dunque non si tratta sempre il bambino da bambino ma si percepisce che quel bambino è in correlazione con una fase a cui si sta preparando e allora ci si chiede come avviene il passaggio e come lo si può preparare. Pensate, in merito alle correlazioni tra le età della vita, a quanto sia importante che un adulto sia in rapporto con l’anziano per non giocare a fare l’adolescente, così come sia importante che un bambino sia in contatto con gli adulti per non vivere sempre nel mondo delle favole. Terzo: compresenza, ad esempio fin dall’infanzia ci può essere una preparazione all’ordine e al rispetto della propria persona che ha poi effetto sulla età senile; dunque la vita è un’unità pur nelle sue fasi. Profondità, correlazione compresenza delle varie fasi. Leggo solo due citazioni (a pagina 2 del testo dato) per fare riferimento al testo guardiniano: “Ogni fase è qualcosa di peculiare e non può essere derivata da ciò che l’ha preceduta e nemmeno dissolta in ciò che le subentrerà. D’altra parte, tuttavia, ogni fase della vita è inserita nell’ordine della vita nella sua interezza e consegue un suo pieno significato solo se anche esercita la sua influenza in essa. Abbiamo qui uno dei problemi fondamentali che determinano il processo educativo (Etica, 569).”
E’ interessante questa profondità di sguardo che Guardini ci offre. In ogni fase c’è dentro il mistero dell’origine e il mistero della fine, ma il bambino non vive il mistero della fine come l’anziano e neanche come l’adulto, eppure in qualche modo esse influiscono. Leggo successivamente: “L’inizio della vita, la nascita e l’essere bambini… il loro significato non consiste in un movimento che ha preso avvio da un certo punto, lasciato poi alle spalle, ma tale punto resta sempre presente… Questo momento continua ad essere presente attraverso tutta la vita, fino all’esito estremo. D’altro canto però la fine agisce su tutto ciò che la precede fino al primo inizio. L’incipit della melodia dà forma a tutto il suo svolgimento successivo; altrettanto la suo fine dà forma a ritroso a tutto il suo andamento. La vita non è la giustapposizione casuale di tante parti, ma un tutto che – detto in modo un po’ paradossale – è presente in ogni momento del suo percorso. “(Opera Omnia,234) Sentite come è bella la sfida, dice Guardini, di aiutarci a riprendere in ogni stagione la totalità della vita, a riprendere gli ingredienti dell’infanzia, della giovinezza, che hanno messo in gioco questa totalità. Rispetto al pensiero postmoderno Guardini dice che non si vive di frammenti, di senso nei frammenti, ma si cerca una totalità che dia significato.
L’opposizione polare viene applicata alle singole fasi della vita e poi viene anche applicata a ogni fase della vita, cioè ogni fase della vita vive di una certa opposizione polare tra ingredienti validi che però, attraverso una crisi strategica, ti chiedono di realizzare una figura di valore. Se si realizza questa figura di valore, si trova la sintesi che porta avanti la vita. Chi conosce Guardini sa che, nell’infanzia, per lui, l’opposizione polare è tra il bambino che cresce, che deve diventare autonomo e il fatto che, però, deve anche imparare dagli altri. L’opposizione è tra il nucleo protettivo e l’imparare a fare da solo. Come tenere insieme queste due tensioni?
Con quella figura di valore che si chiama crescita. Il giovane invece vive l’opposizione polare tra l’iniziativa piena di entusiasmo e di ideali e lo scontro con la realtà, perché gli manca l’esperienza e ha bisogno della tradizione. Dunque il giovane dovrebbe riuscire a fare sintesi tra il suo entusiasmo ideale, in cui mette in gioco il suo io, la sua voglia di cambiare il mondo, e l’esperienza altrui da cui imparare. Qual è, per il giovane la figura di valore? La figura di valore è l’esperienza, che arricchisce il giovane. L’adulto vive invece del disincanto, il disincanto bello per cui si accorge che deve fare il bene non perché cambierà il mondo ma perché è bene. Deve cioè fare il bene nella percezione dei suoi limiti. La polarità è tra il non essere capace di fare tutto e, d’altro lato, il portare avanti il bene con perseveranza e senza rallentare. Qual è l’equilibrio allora, qual è la figura di valore dell’adulto? È la costanza e la stabilità, che Guardini chiama “il carattere”, possiamo anche parlare di obbedienza o di virtù.
E la virtù si esprime in maniera diversa nelle varie età: per il bambino è virtù quella che lo aiuta a crescere, per il giovane è virtù non semplicemente ciò che lo aiuta a crescere, ma la prudenza di fronte all’ esperienza altrui, la docilità di fronte alla tradizione, dunque la virtù è l’essere capace di trovare quella Mesòtes, quell’equilibrio che gli serve nella vita. Invece l’obbedienza o la virtù per un adulto è la capacità di avere il senso del limite, la capacità di rimettere la propria causa in qualcosa d’altro, in qualcosa di più grande. Con quale termine preciso indicare la figura di valore per l’anziano? Con il termine saggezza. Guardini dice che nella vecchiaia l’elemento qualificante è la saggezza. Leggo (a pag. 3 in alto): “In primo luogo si avverte la transitorietà. Si ha una visione di insieme delle possibilità: della misura di ciò che si sa fare e di ciò che la vita può ancora dare. Per questo svanisce quel momento che genera il carattere dell’infinito- o meglio del continuare ad andare avanti – ossia l’attesa. A mano a mano che l’uomo invecchia, ha sempre meno aspettative, nella stessa misura si fa più intensa la sensazione del tempo che scorre… la vita scivola sempre più in fretta. Un secondo momento… proviene dal cambiamento degli eventi stessi o meglio dal modo con il quale vengono vissuti: essi diventano più flebili… chi li vive ne è meno coinvolto.” (Opera Omnia, 235).
Meno coinvolto non vuole dire meno appassionato, vuol dire che l’invecchiamento dà la percezione di un io meno ingombrante, non si deve, non si può e non si vuole cambiare il mondo, si vuole dare con equilibrio il proprio contributo perseverando nel bene. C’è una percezione della transitorietà, per cui la persona che invecchia percepisce l’intensità di senso di ciò che può fare, non è più in primo piano l’efficienza e l’efficacia. La transitorietà e la fugacità comportano un diverso coinvolgimento dell’io. Questo è il processo che determina la crisi e quindi la sfida. Cito ancora: “Ciò che abbiamo detto può essere abbastanza per delineare la crisi che si prepara. Se e come il singolo la supera dipende dal modo con il quale accetta la fine e segue l’indicazione che gli giunge dalla fugacità e dal assottigliarsi delle cose. Se ciò non accade, ecco che nasce il vecchio nel senso negativo, o meglio colui che non vuole “diventare vecchio”. Può succedere che si comporti come se fosse ancora giovane, ciò può avere conseguenze tanto fatali quanto pietose, oppure egli capitola di fronte al fatto di invecchiare, abbandona completamente la vita e si aggrappa a quello che ancora gli resta. Ne nascono allora i gravi fenomeni del materialismo senile per il quale le cose tangibili divengono tutto: mangiare e bere, il conto in banca, la poltrona comoda. Si sviluppa l’ostinazione senile: la smania di mettersi in luce, il tiranneggiare gli altri per trarne la sensazione di essere ancora qualcuno. Risolvere questa crisi in senso positivo significa accettare l’invecchiamento, accettare la fine senza soccombervi, né svalorizzarla con indifferenza o cinismo. Si realizza allora una serie di comportamenti e valori molto nobili: discernimento, coraggio, pacatezza, rispetto di sé, la capacità di riconoscere il valore della vita trascorsa, delle cose che si sono compiute… il superamento dell’invidia per i giovani… del risentimento verso i nuovi avvenimenti storici.” (236)
Intuite la sfida secondo Guardini? C’è un processo che pone una sfida per realizzare una figura di valore attiva: o non accetto di invecchiare e gioco a fare il giovane, cioè moltiplico le possibilità, oppure sprofondo nel materialismo senile, che è un attaccarsi a ciò che rimane cercando di perdere il meno possibile della vita. Rispetto a questa sfida, e siamo alla terza citazione, dicevamo che la figura di valore è l’uomo saggio:” Se ciò accade, si presenta l’immagine della vita propria dell’uomo anziano… dell’uomo saggio. Lo possiamo delineare in questo modo: è colui che sa della fine e la accetta… La fine della vita è essa stessa ancora vita… Con la sua accettazione, giunge nel suo comportamento un che di quieto e di superiore in senso esistenziale. Quando fu chiesto al cardinal Borromeo cosa avrebbe fatto se avesse saputo che sarebbe morto un’ora, dopo egli rispose: “Farei quello che sto facendo ora, con particolare cura. È qui che si esprime questa superiorità. È il superamento dell’angoscia, del voler assaporare tutto…(237)
Guardini chiama questa superiorità o questa quiete il senso dell’Eterno, cioè la percezione di qualcosa che dura in quella fugacità, che l’anziano può percepire e testimoniare. Riguardo a questo senso dell’eterno: è una sorta di quiete che ti permette di fare le cose non per la smania di efficienza ma per desiderio di svelare il senso; provate a chiedervi cosa voglia dire coltivare un’amicizia, cosa voglia dire parlare in pubblico, dire, fare una ricerca, uno studio non tiranneggiati dall’efficienza, ma col desiderio di lasciarne rilucere il senso significato più vero, col desiderio di qualcosa che accresce l’essere e il cui risultato non è l’avere, (penultimo capoverso pagina 3): “La saggezza è diversa da una mente acuta o da un’intelligenza pratica nell’affrontare la vita. È ciò che nasce quando l’assoluto e l’eterno penetrano nella coscienza finita ed effimera e da lì rischiarano la vita. È da qui che ha le proprie radici l’efficacia propria della vecchiaia. Ci sono due generi di efficacia quella della dynamis immediata, ossia della capacità di dominare e di mantenere l’ordine e quella del senso delle cose, della verità del bene… Col trascorrere del tempo la dynamis si affievolisce. Ma nella misura in cui l’uomo ottiene delle vittorie interiori, egli fa per così dire trasparire il senso delle cose. Non diventa attivo ma irradia, non aggredisce la vita, non la domina e non ne è padrone, ma ne rende chiaro il senso al quale dona una particolare efficacia, grazie al suo atteggiamento disinteressato.” (239)
Non so se è troppo astratto, ma a me viene sempre in mente la differenza tra il giovane parroco quarantenne-cinquantenne ossessionato da una certa efficienza nell’ organizzare la vita pastorale, preso dalla dynamis che mette ordine e stabilisce mete, e il sacerdote di 70 anni, riconciliato, che è preoccupato di fare un incontro coi genitori dando il senso di bellezza di ciò che si sta vivendo. Nelle ultime righe di pagina 3 io riporto la lamentela di Guardini, dicendo che in realtà il nostro mondo vuole fare, dei bambini, dei vecchi e degli anziani dei perpetui giovani che possono “fermare” se stessi. Ma così l’età degli anziani perde valore e il corrispettivo è la funzionalizzazione dei bambini all’età adulta.
Facciamo l’ultimo passo, l’ingresso nell’età senile. Guardini si chiede che cosa caratterizzi il passaggio dell’età senile rispetto all’essere anziani. È il fatto che sempre di più si dipende dagli altri, sempre di più si assottiglia quelle energia psichica e fisica che permette di essere autonomi. E qui ci sta una raccomandazione a chi accompagna le persone nell’età senile: grande pazienza e un grande senso dell’umorismo. Quando avete pazienza e umorismo lasciatevi stupire da alcune figure entrate nell’età senile (pagina 4 a metà): “Essi sono quieti nel loro intimo. Hanno una dignità che non deriva dal fare ma dall’essere. Nella loro essenza si fa presente qualcosa che, forse, può essere espresso solo con il concetto dell’eterno. In tale impressione si rivela il senso della fase della vita al centro del nostro discorso… un valore che consiste proprio nel compimento di ciò che si definisce ‘finire’. In quel compimento (Voll-endung) che non consiste nel raggiungimento dell’apice di una grande azione, o nell’esistenza di un destino tragico, ma nel completo portare fino alla fine il compito che l’esistenza in quanto tale, al di là dei suoi singoli risultati, pone all’uomo. Questo finire non consuma la vita ma vi penetra diventando esso stesso “vita”. (Opera Omnia, 242).
Se io dovessi tradurre queste righe vi direi che l’età senile lancia la sfida della saggezza, di chi dice “non sono pentito di ciò che ho vissuto, di aver voluto bene a queste persone, di aver cresciuto questi ragazzi, non sono pentito di questo lavoro, anzi con questa quiete vorrei irradiare il senso della vita perché ho percepito queste cose senza pentimento”. Voll-enden è finire in una pienezza. La pienezza ha la forma dell’affidamento. Allora forse l’atteggiamento spirituale più bello per l’anziano è la preghiera, nella quale egli riconosce che la totalità della sua vita non è buttata via, perché gli è stata affidata da Dio.
Questo, direbbe Guardini è quell’enden che è una Voll-endung, cioè un finire in una pienezza, senza più quella moltiplicazione delle possibilità che è delle altre età, per conquistare a se stessi la quiete. È la percezione che non posso più far molto, se non riprendere la mia vita senza pentimento per ciò che ho vissuto perché l’affido al Signore e la ricevo da lui. Dunque il compimento, la pienezza hanno la forma dell’affidamento Nel testo Guardini dirà che forse la forma spirituale più bella per l’anziano è la preghiera nella quale riconosce che la totalità della sua vita non è buttata via perché gli è stata affidata da Dio. Si tratta, direbbe Guardini, di stare presso le cose, nella realtà, secondo le modalità specifiche della stagione che si vive ma senza perdere il senso del tutto. La fede in questo ha una forza di integrazione, nella misura in cui è un’ipotesi di senso che riguarda tutto e quindi chiede di ricondurre ogni frammento al nostro Io autentico, chiamato da Dio. È questa la via al compimento, che non può essere né un semplice finire né tantomeno un andare sempre oltre, ma un consegnarsi/essere consegnanti a una pienezza presentita nell’inizio che ci precede e nella fine che penetra tutto, lasciando trasparire quel che vale e rimane. C’è bisogno della prossimità di altri per vivere bene la stagione che ci è data: ogni età o fase vive di una sua logica e non è in funzione di altro ma è destinata ad essere sostituita dall’altra e nel rimando alle altre. La coesistenza delle diverse fasi o età nel rapporto tra generazioni diventa decisiva per vivere bene l’età data in sé e nel rimando alla successiva come pure alle altre. La prossimità mette in relazione le diverse età nella loro complessità. La sfida è sempre quella del tutto nel frammento, che non relativizza il frammento ma lo fa essere nella sua verità.

Dialogo

<strong>I Intervento (Giuseppe Zola)</strong>
 

Grazie per quello che hai detto e per questo metodo di lavoro. Una domanda: è stata usata spesso la parola totalità, parola molto cara a don Giussani che ci richiamava una totalità in tutti i sensi. C’è un collegamento tra la totalità di cui parla Guardini e l’indicazione pedagogica della totalità data dell’ambrosiano don Giussani?

Risposta

Sicuramente Giussani, specialmente nei primi saggi, osservava che nella scuola manca quel maestro che dà un’ipotesi esplicativa del senso del tutto. Un adulto dice al ragazzo che deve studiare e il ragazzo gli chiederà perché. Ora una risposta sul perché veicola o lascia trasparire una ipotesi totale della vita, non si può accettare la sfida con risposte parziali. Oggi viviamo in una crisi per cui è assolutamente difficile appassionare un ragazzo al sacrificio di adesso anche nel nome di soldi nel dopo. L’ipotesi dell’ideale, il tema del senso attraversava quegli anni, quella stagione che è quella di Guardini. Emerge prepotente una sfida interessante ancora oggi. Infatti uno dei grandi problemi dell’adolescenza oggi è che i ragazzi fanno fatica a volere sé, a decidersi. Il filosofo Nietzsche diceva che gli uomini degli ultimi tempi saranno sempre più democratici, cioè rimarranno sempre indietro di un passo da quello che dicono per non inciampare negli altri, per non dovere spiegazioni, ma in questo modo non aiuteranno mai un adolescente a volersi nelle cose che fa, a decidere di sé nelle cose che fa, perché uno può volersi nelle cose che fa solo se ha un’ipotesi di senso esplicativa totalizzante. Allora intuite che lo stesso vale di ogni stagione della vita. Direbbe Guardini, la sfida della fase della totalità è che uno si voglia, che viva pienamente nella fase della vita che vive, che decida di sé, che sia dentro quella circostanza. È così bello ciò che dice il Papa nella Evangelii Gaudium: noi abbiamo bisogno di operatori pastorali che non vivano dilettantisticamente quello che fanno, ma che nelle cose che fanno per il Signore, per la Chiesa, ci siano dentro con il loro io, la missione è ciò in cui Dio vuole me. Von Balthasar diceva: la missione che Dio mi ha affidato è il luogo della mia personalità integrale, delle opere in cui metto in gioco il mio io. C’era un operatore pastorale che mi diceva: ho fatto il catechista, non so; ho fatto l’allenatore, non so; ho fatto il membro del Consiglio Pastorale, non so; sono andato a portare la comunione e, dentro lì, io c’ero e li portavo a casa nella preghiera, e mi sono accorto che lì c’ero perché il mio io diventava unico, unitario e ospitale dell’angoscia di tanti. Mettere in gioco in un frammento la totalità del mio io. In questo senso io vedo un nesso molto interessante tra Guardini e Giussani, Giussani parlava di totalità da un punto di vista pedagogico, Guardini lo fa dal punto di vista delle età della vita.

<strong>II Intervento (Innocenza Laguri)</strong>
 

La saggezza dell’età anziana di cui parla Guardini, nella cultura di oggi, non può essere scontata, ma è frutto di un lavoro, anche e soprattutto controcorrente rispetto alla mentalità d’oggi. È cioè difficile il recupero della nostra identità di anziani, la costruzione di una spiritualità dell’età anziana come dice il Papa, perché oggi questa età è censurata. Avrei una serie infinita di esempi,anche divertenti, che indicano la censura della vecchiaia, anche in ambiente cattolico, anche tra gli amici, che indicano la censura della morte, che è la cifra fondamentale dell’età anziana (penso ai media e alla loro spettacolarizzazione della morte di questi giorni, così che diventa “la morte” astratta e non certo la mia morte). Dire che tra pochi anni non ci siamo più, interrogarsi sull’al di là dà l’impressione di essere depressi.
C’è dunque un lavoro da fare per tradurre la polarità di cui parla Guardini e che lei ci ha illustrato, lavoro difficile e urgente. Difficile perché tutte le età sono stravolte (penso ai cenni che Guardini fa sul modo stravolto di guardare al bambino, che a noi come nonni interessa). Urgente perché io credo che la nostra generazione sia la prima ad essere stata investita da tutti quei fatti che collaborano a censurare la morte e a proporre come modello l’età del giovane (dal controllo delle nascite, all’allungarsi della vita, alle cure estetiche, ecc.) Penso che anche per questo la polarità della vecchiaia che più mi colpisce e che trovo assai drammatica è tra la volontà di programmarsi e la consegna, il perdere la propria vita per poi ritrovarla, di cui la morte imminente è segno. Mi sembra importante aiutarci a imparare questo, a tradurlo in gesti, sia in ambito familiare che sociale (penso, a 360 gradi, sia alle ipotesi di legge sugli anziani attivi sia ai gesti e ai riti del fine vita… quando si considera come massimo bene morire senza accorgersene). Come testimoniarci e imparare questa più profonda gratuità dell’età anziana? Non ho molti esempi davanti, soprattutto se mi riferisco all’età senile (secondo le tappe guardiniane), cioè alla generazione che mi precede: ho più l’esempio di risentimenti, ribellioni, egoismi spesso giustificate con l’andar fuori di testa, infatti l’allungamento della vita apre la strada, veramente problematica, delle malattie mentali).
In sostanza mi sembra importante aiutarsi a tutto campo, è d’accordo?

Risposta

Sottolineo solo questa idea della spettacolarizzazione della morte, rispetto alla quale Guardini dice che invece il problema è vivere il proprio finire e dice che questo è una sfida anche in vista dell’anziano che, diventando insicuro, diventa prepotente e anche volendo assumere il compito, non ha più le energie psicofisiche se non per un attimo, per un frammento di senso. La percezione di Guardini è realista, la sua istanza di recuperare la figura di valore, contenuta nell’ idea molto bella del perdere le cose per ritrovarsi, suggerisce di non sopportare una stagione della vita. E’ una sfida certamente per l’oggi, ricordo che nel passato il morire consapevolmente era importante “Liberaci Signore dalla morte improvvisa”.

<strong>III Intervento (Camillo Fornasieri)</strong>
 

La prima domanda riguarda la religiosità, intesa come non fermarsi al proprio fallimento. Chiedo: quanto questo conta anche nelle altre fasi, quanto questo è decisivo anche per le altre fasi? Che parole possiamo usare per trasmettere di più sia questa unità della vita che questa specificità?
La seconda domanda. Mi sembra che in questo modo di guardare la vita di Guardini sia un po’tutto smussato, magari invece capita o si cerca un evento irrompente, decisivo. Dunque in questa visione si presuppone una verifica di sé da non dare per scontata?
La terza è una osservazione su cui chiedo un parere. Oggi si commercia ciò che una età deve consumare, compresi i più piccoli. Questo è frutto della frammentazione, cioè frammentazione vuol dire possibilità di vendita, invece l’unità mi sembra che sfugga a questa logica di domanda-consumo.
Altra Osservazione. Un autore francese Laforgue, ha scritto un bel libro sul fatto che siamo in un’epoca di puerocentrismo, c’è dunque una crisi educativa. Ora la crisi del pensiero attuale difficilmente viene collegata alla crisi educativa. Mi sembra invece ci sia un collegamento, cioè occorre, in campo educativo, piegarsi sulla persona senza però sostituirla in modo che poi non vi sia crisi del giudizio, cioè crisi del pensiero. A mio parere c’è oggi una scorrelazione tra crisi del giudizio e crisi dell’educazione.

Risposta

Mi soffermo sulla prima osservazione, salvo smentita per chi conosce il testo di Guardini, è vero che l’approfondimento sul ruolo della fede nelle altre fasi non è particolarmente illuminato, sta sullo sfondo, però merita uno sviluppo. Per esempio è chiaro che nell’infanzia un ruolo della fede è quella di accompagnare quella fiducia primaria che permette al bambino di fare i primi passi nella vita, di sperimentare e di sperimentarsi. In tal senso sono dell’idea che c’è un compito grande dei genitori e dei nonni nel dare la percezione che c’è un ordine cosmico in cui il nostro bambino esplora la realtà ed è questo ordine che permette di far corrispondere ad alcune regole il successo dell’azione. Invece nel periodo della giovinezza la fede può essere vissuta come vocazione ad una missione che interpella il tuo io e ti impegna a decidere di te di fronte a qualcosa di grande. Questi secondo me sono degli spunti che sono più sul sottofondo, è interessante però che la fiducia originaria, nell’infanzia e la preghiera, nell’età anziana, emergano in maniera particolare, perché il mistero dell’inizio e quello della fine sono sempre presenti ma soprattutto in quelle due fasi strategiche del riceversi e del consegnarsi. Sono presenti nelle altre fasi e nella totalità della vita nella misura in cui io permetto alla vita di tenere in gioco questi ingredienti. C’è qualche studioso che dice che in verità da un po’ di tempo abbiamo superato il puerocentrismo, motivo: noi non abbiamo più bisogno di identificare dei soggetti nelle fasi della vita perché abbiamo solo bisogno di plasmare dei clienti. In tal senso qual è la soggettività che consuma? Io trovo sempre interessante guardare la pubblicità dei prodotti, potrebbe essere interessante, per la terza età, capire che immaginario ci sta dietro: ho bisogno della dentiera per mangiare tanto, della pomatina per ballare col marito e divertirmi o dell’energetico per fare le scalate in montagna. È interessante vedere il tipo di immagine che viene veicolata. Di sicuro c’è una grande attenzione all’adolescenza come età indeterminata perché è uno di quegli stati che permettono di essere clienti di tutti e di nessuno. Chi non gerarchizza i valori della vita è un cliente migliore. Come dicono gli psicanalisti, quando una massaia dice “vado al super per vedere se ho bisogno di qualcosa” è pericolosissimo, meglio se dice” vado al super perché so di cosa ho bisogno”. Questa distinzione è strategica e Guardini dice che se tu ti fermi alle singole età della vita andrai al super per vedere cosa ti è venduto, per darti una identità in quella fase, ma vuol dire che non hai cercato quella profondità in cui c’è in gioco il tuo io. Questa cosa pone il problema di quale sia l’incontro che risveglia questa esperienza e che dice “io ho bisogno del tuo io e non del tuo ruolo”. E’ interessante avere una assemblea che non vuole ragionare sulla vecchiaia, ma su cosa vuole dire essere se stessi in questa stagione della vita.

<strong>IV Intervento (Eugenia Scabini)</strong>
 

Però nella società d’oggi con tutte le esperienze drammatiche della vita, abbiamo delle figure di testimonianza che hanno una pregnanza assolutamente particolare, pensate a papa Wojtyla: tutti noi abbiamo assistito in diretta alla lotta vitalissima del Papa, per esempio vi ricordate le ultime Viae crucis, quando voleva a tutti i costi essere presente e non riusciva, c’era ancora la tempra dell’uomo che manteneva questa vitalità e pure era quieto. Pensiamo poi a Papa Benedetto che comunque è una presenza; io, quando ho letto le ultime conversazioni, ho avuto il riscontro immediato di una grandissima pace, riassunto di una vita in cui si legge tutta la drammaticità della sua esistenza.

E per questa pace, per chi di noi ha vissuto sia pur alla lontana e senza poterlo vedere i suoi ultimi anni, don Giussani mandava messaggi che erano di un rilievo spirituale più elevato rispetto a quello che presentava negli anni della sua potenza quando ancora poteva parlare, perché sia lui che papa Wojtyla sono stati colpiti proprio nella parola. Eppure hanno comunicato… il Papa Giovanni Paolo II ha quasi parlato più da anziano. Noi a queste figure di testimoni ci dobbiamo rifare, sono queste figure che è una benedizione conoscere: la loro lunga vita è diventata quieta, hanno lavorato, amato, sofferto ma “è ancora tutto qua, nel volto, nelle mani, nell’atteggiamento e parla con una voce.”

Dobbiamo raccogliere queste testimonianze: ci aiutano ad affrontare l’anzianità in quel modo, se c’è un momento in cui la parola testimonianza assume il suo significato più vero è proprio questo, perché nell’età adulta o quando ancora mantieni un ruolo la testimonianza non coincide ancora con la presenza. Credo che non dobbiamo fare il gioco della società, negando la potenza simbolica di queste presenze. Ve ne sono anche nella generazione passata, per esempio ci sono persone che continuano a dirti di non preoccuparti di loro quasi a proteggerti ancora, per non doverti dare un peso.

Sono cose commoventi, dovremmo fare in modo che anche i nostri nipoti non perdano questa possibilità, anche se il vivere da una parte e dall’altra forse non favorisce questa possibilità.

<strong>V intervento (Giuseppe Zola)</strong>
 

Riprendendo anche quest’ultimo intervento, oltre al giudizio critico nei confronti della società, non dobbiamo dimenticare la valorizzazione dei nonni da parte della Chiesa, anche se la Chiesa mi sembra più preoccupata di assistere l’età anziana, piuttosto che di ricavarne tutta la potenzialità che ha, che è quella di essere una testimonianza che arricchisce tutta una comunità.
Forse anche la Chiesa dovrebbe (e in questo senso avremo una possibilità ad aprile nell’Incontro tra i nonni e il cardinale) stare attenta a non cadere nel pericolo di vivere tutto come assistenza e non come valorizzazione di testimonianze che ci sono o ci possono essere. In una parrocchia, in un movimento l’anziano ha la sua da dire.

Risposta.

È vero che nel mondo cattolico bisogna educarsi. Mi ricordo la reazione di alcuni sacerdoti a quella spettacolarizzazione della sofferenza del Papa, fatto interessante perché se tu non percepisci l’uomo e come il suo io ha interpretato la sua missione, fai fatica a vedere questa testimonianza. Sicuramente la Chiesa cattolica è in mano a una gerontocrazia, mentre il problema vero è di dare testimonianza che c’è “un pensionamento” che, vissuto nel momento giusto, permette di diventare testimoni. Un vescovo dovrebbe avere lui l’urgenza di andare in pensione per essere presente in un altro modo, questo sarebbe interessante, mi riferisco anche ad un parroco, insomma ad una figura che non resti legata così tanto al ruolo perché, direbbe Guardini, più facilmente irradia da dentro, non è più preoccupata dell’efficienza, anzi si accorge che c’è una efficienza che, non avendo più la dynamis, cioè l’energia di organizzare, si incentra sul senso. Nelle nostre strutture sarebbe interessante verificare quanto siamo capaci di non legare il ruolo alla missione perché la missione in cui uno si è messo in gioco è molto di più del ruolo immediato che ha.

<strong>VI Intervento (Adriana Mascagni)</strong>
 

Questa lettura di Guardini mi sembra una lettura orizzontale, c’è per me una dimensione verticale, che è dramma, non è quiete, è provocazione continua, perché in una volta sola si gioca tutto nel suo aspetto di fede, di lotta, di realizzazione, nel suo aspetto di attesa di un compimento perché comunque il compimento della vita non è la morte, ma è il compimento di ogni fase della vita, direi il compimento in blocco se si può dire. Si tratta di una unica Presenza nella fasi della vita che deve avere voce, che non può non continuare ad avere voce, fino alla fine e oltre la fine. Questa inquietudine della Presenza è irrinunciabile ed è il motore di tutte le età, ma ancora di più in quella che si chiama saggezza, perché, se la saggezza ha questo compito riassuntivo, ancora di più c’è questo grido, questa inquietudine che ha il diritto e il dovere di esprimersi. In questo senso capisco la polarità di cui si parlava, la questione non è semplice ed è vero che per affrontarla, un’altra volta bisogna essere insieme, ed è un essere insieme diverso da prima a cui dare vita, da scoprire, perché non è detto che ci sia. Questo è quello che io in questa fase vivo e questo è quello che, se non lo era prima ora lo è diventato, è lo scopo di questo nostro essere nonni 2.0. Lo dico perché su questo ho esigenza di confrontarmi più in profondità.

Risposta

Credo che Guardini affidi la dimensione verticale al mettere in gioco il proprio io, è lì, nel chiedersi come sono nelle cose che vivo ora, che c’è l’inquietudine, questo livello del senso rimane una provocazione interessante. Sant’Agostino parla non di distensio animi (dispersione) ma di intensio animi per cui le cose assumono un significato

<strong>VII Intervento (Marinella Cremaschi)</strong>
 

C’è un elemento che a me colpisce che è quello della fragilità, ad esempio io mi ero scandalizzata della fragilità del Papa o di don Giussani, e questo tema della fragilità attraversa la nostra vita. C’è una fragilità della salute, evidentissima, c’è una fragilità emotiva che ci prende, ci attanaglia e che per me, e forse per molti, è come una pietra di inciampo. Allora domando quale sia il senso di una compagnia in questo perché in questa fragilità estrema ci può essere un momento di solitudine molto forte e poi un senso di impotenza riguardo al come superarla. Ci attende un compimento, io sono sempre stata accompagnata nelle varie fasi della vita da una compagnia significativa, perché la solitudine è una dannazione per molti aspetti, una provocazione del diavolo. Allora quale tipo di compagnia? Guardini dice che c’è bisogno della prossimità di altri per vivere bene la stagione che ci è data. Quale prossimità, quale compagnia qualificante, come aiutarci in questo?

Risposta

La fragilità per Guardini è lo spazio dove può stare quella trasparenza del cercare il senso delle cose, è il luogo di una forma di esperienza della verità su di sé. Il primo aiuto che ci si può dare è verificare che la fragilità per gli altri non sia lo spazio per un giudizio nel senso di uno scandalo, ma sia il luogo dove ci si offre gli uni agli altri. La fragilità è un’occasione in cui gli amici si chiedono gli uni gli altri di rileggersi per scoprire di non essere pentiti di ciò che si è vissuto, perché lo si è vissuto in modo da tener viva l’inquietudine, perché ci si è lasciati convocare dall’Altro. E chiedo agli altri di continuare a convocarmi su questo, non a far finta di niente, non a venire a patti. Le modalità concrete sono delicate a seconda dei livelli di prossimità, ma è chiaro che è una compagnia, forse l’elemento strategico sarebbe quello di verificare che cosa si ha il coraggio di condividere in questa stagione della vita, è interessante che ci siano gruppi di persone tese a condividere la figura di valore di questa età, non solamente a consolarsi, a condividere le lamentele sulla malattia. Il condividere la figura di valore è capace di spolverare medaglie: “guarda come hai fatto quello, come ti sei fatto convocare”… Sarebbe brutto non avere più nulla da condividere, però tutto il processo di Guardini va riletto alla luce dei legami, cioè quella trasparenza viene irradiata anche dai legami

<strong>Conclusione (Giuseppe Zola)</strong>
 

Questa serata ha confermato il compito che abbiamo: vivere pienamente la nostra età per collegarla a quella dei nostri figli adulti, dei nostri nipoti, in una unità di cui sia la nostra società sia, direi, anche la Chiesa, hanno bisogno.
Abbiamo una grande responsabilità. Noi come Associazione siamo partiti, come spunto iniziale, da alcune battaglie civili e sociali, continueremo a questo livello, però, andando avanti in questi anni, ci stiamo accorgendo che per assicurare quel livello dobbiamo partire dal livello di questa sera, in cui approfondiamo chi siamo col desiderio di non vivere da soli questo “a fondo”: stiamo insieme per approfondire questo nostro compito.