LAVORO SUL PRIMO TEMA INDICATO DAL CARDINAL SCOLA: “IL BELL’AMORE”

2017 Incontri

Lavoro sul primo tema propostoci dal card. Scola nell’incontro del 1° aprile.

Una bella giornata insieme a Bergamo alta.

Come sempre quando i nonni si incontrano e parlano fra di loro della loro vita con figli e nipoti vengono fuori cose estremamente interessanti e utili per fare meglio il loro “mestiere” di educatori e confidenti dei loro nipoti.

Così è successo ancora sabato 6 maggio a Bergamo dove si sono ritrovati una sessantina di associati e nuovi amici che, dopo una bella passeggiata nella affascinante città medioevale e una non poco calorica degustazione della cucina locale, si sono radunati per iniziare a lavorare su uno dei temi indicatici dal Cardinal Angelo Scola in occasione dell’incontro del 1 aprile.

Abbiamo parlato dell’amore e dell’affettività e del modo di trasmettere ai nostri nipoti la nostra esperienza per aiutarli a crescere nel “bell’amore” in un mondo dove ad ogni passo ci si trova ad affrontare problematiche anche per noi nuove, relative a persone, affetti e famiglia. Gli spunti di discussione li abbiamo tratti dal bel libro del Cardinale “Uomo-donna: la questione seria dell’amore”, che vi invitiamo caldamente a leggere.

Non si può tuttavia pensare di risolvere con un incontro pur intensamente partecipato la complessità di un tema come quello affrontato in questa occasione; da qui la sollecitazione a mantener vivo questo dibattito in piccoli gruppi ai quali invitare anche nuovi amici, che ci auguriamo possano naturalmente e spontaneamente formarsi.

E favorire il diffondersi di questo fermento è il principale compito della nostra Associazione.

Lo stralcio del discorso del Cardinale ai nonni del 1° aprile 2017 da cui si è partiti
 

Tre sono gli ambiti della nostra possibile azione pedagogica con i nipoti. Il primo lo chiamo l’educazione al bell’amore

Il bell’amore è l’ambito in cui il soggetto si gioca e incomincia da un dato, non oso ancora definire il dato come dono. Infatti, per esemplificare con il rapporto tra un uomo e una donna, l’innamoramento è una realtà ambivalente, come tutti gli uomini e tutte le donne sperimentano; dunque non bisogna fare esaltazioni eccessive dell’innamoramento, però è un dato di fatto che uno non sceglie di innamorarsi, già San Tommaso descrive questo fenomeno molto bene: è una passione che ti prende. Ma tu sei chiamato lentamente a svolgerla, così da riuscire ad amare l’altro come altro, per se stesso e non come uno strumento nelle tue mani e non dico solo come uno strumento di piacere o di godimento, ma come uno strumento anche nel senso del gaudio, del fare un’esperienza del bello e del buono. Allora i nostri ragazzi, fin da piccoli, possono trovare nella compagnia vostra una introduzione a questo stile gratuito dell’amore, trasformando l’innamoramento da dato a dono, passando da una dimensione puramente affettiva e soggettiva ad un amore effettivo e oggettivo che ama l’altro come altro, rispettandolo nella sua definitività. Questo mi sembra molto molto importante. I nostri nipoti, penso e lo vedo coi figli del mio povero fratello, su questo aspetto sono più sensibili al rapporto con i nonni, al consiglio e alla storia dei nonni, di quanto non lo siano verso i genitori. Non si tratta di togliere spazio ai genitori, la responsabilità educativa è dei genitori! Però i nonni hanno una funzione importante, dentro il dinamismo della compagnia, sulla questione fondamentale della vita, che è la questione dell’amore: il Vangelo di Giovanni si conclude con quelle tre parole lapidarie: “Dio è amore”. Questo è il primo aspetto. Potrei ridire tutte queste cose usando una parola oggi caduta dall’uso, ma di grande potenza, che è la parola castità. Nessuno ne parla più, ma la castità non è anzitutto una regoletta morale, è invece questa posizione dell’essere di fronte all’amore, questa posizione intera di fronte all’amore.

Per aiutare ad affrontare il tema Giovanna Rossi, Sandra Faré e Innocenza Laguri hanno preparato un documento con stralci dal bel volume del Cardinale Angelo Scola UOMO-DONNA. IL “CASO SERIO” DELL’AMORE, Marietti, 1820 2002, XII ristampa 2016

Questo libro è rivolto immediatamente ai giovani che si preparano al matrimonio ma è certo interessante per tutti quelli, come i nonni qui radunati, che sentono la vita come compito. Scola ha consigliato questo libro per aiutarci ad attuare il compito educativo al bell’amore perché, particolarmente nella relazione uomo-donna, prende forma evidente la vita come apertura all’altro, ma il contenuto vale anche per ogni altra relazione umana.

Una osservazione preliminare.

Il metodo è partire dall’esperienza.

Vorrei, facendo parlare Scola, innanzitutto sorprenderne il metodo e lo scopo. Le parole infatti non sono, come oggi accade, l’espressione di un proprio pregiudizio che poi è sempre quello del potere, ma indice di un’esperienza. Tanto più, mi sembra, abbordando questa parola, la parola amore, che certamente è una delle più  decisive, ma anche una  delle più usurate.

In questa breve rilettura selettiva considererò soprattutto la seconda parte del volume dedicata al dono di sé e intitolata “Ti amo”. Farò anche qualche incursione nella prima parte per qualche approfondimento.

Seconda Parte

“Ti amo”

Capitolo IV

Dall’innamoramento all’amore: la traiettoria del desiderio

  1. Una cosa che capita
  2. Ad un uomo libero
  3. L’irrompere sulla scena dell’altro

Dizionario

Parole in disuso

Castità

Parole da riscrivere

Desiderio

  1. Una miscela esplosiva

Capitolo V

Amore

  1. Qualcosa di evidente eppure inesprimibile
  2. Amore dell’altro e amore di sé
  3. Da venere alla Trinità: è sempre amore

Capitolo VI

La promessa dell’amore: per sempre

  1. Un legame stabile, pubblico, fedele
  2. Un legame stabile
  3. Un legame pubblico
  4. Un legame fedele
  5. Fragilità e grazia. Offesa e perdono
  6. Il matrimonio

Dizionario

Parole in disuso

Indissolubilità

Verginità

Vediamo ora di seguito il Capitolo IV – Dall’innamoramento all’amore: la traiettoria del desiderio, che distinguiamo nei due versanti: soggettivo e oggettivo.

  1. Il versante soggettivo

1.1 Una cosa che capita

“Anzitutto l’innamoramento capita. Non lo puoi prevedere né, tantomeno, programmare. La cosa è dell’ordine di quegli avvenimenti che ti “prendono in contropiede”: imprevisto, a volte persino inopportuno.

San Tommaso nel suo De passionibus, uno dei capolavori dell’intelligenza psicologica dell’umano che neanche la psicanalisi ha reso inutile, ne parla come di una passio. Etimologicamente il termine indica proprio un subire, un accusare il colpo… Dunque l’innamoramento mi accade, senza chiedere il permesso alla mia libertà.

Il mio io si imbatte, a tutta piena, in un tu che lo attrae e ne subisce il fascino. L’innamoramento ha inizio in quell’attimo di sorpresa stupefatta ed è già riconoscibile in questo sguardo…

Qualcuno lo ha acutamente definito come “uno stato di grazia”: un evento da cui l’io è gratuitamente messo in moto…

Qual è, dunque, il segreto di una tale potente attrattiva che invita a seguirla? È l’emergere di un’affinità profonda, una sorta di armonia prestabilita. Così viene destato il desiderio, quindi la tensione inesorabile al possesso dell’amato, passaggio obbligato verso il gaudio.

Il primo livello dell’esperienza affettiva ha dunque a che fare anzitutto con un dato: qualcosa mi accade. In prima battuta si deve registrare una certa passività”. (DP 57 58 59)

Il rapporto tra un uomo e una donna parte da un dato (uno non sceglie di innamorarsi, è una passione che ti prende), ma l’innamoramento è una realtà ambivalente.  A questo proposito è utile la precisazione di Francesco Botturi:

 “Infatti anche se esso (cioè l’innamoramento) già  possiede una intenzionalità centrifuga che si porta sull’essere dell’altro (come è proprio dell’amore), è però ancora molto necessitato e limitato dall’attesa centripeta di corrispondenza: l’altro affascina con spontaneità e con altrettanta spontaneità è dominante l’attesa di soddisfazione, cioè il piacere della relazione corrisposta…C’è dunque la possibilità che la relazione ad altri rimanga commisurata all’aspettativa immediata della sua facile corrispondenza e della sua ovvia piacevolezza; se non si innesta un movimento qualitativamente diverso a livello dell’innamoramento, l’apertura all’altro resta inevitabilmente proporzionata all’attesa dell’immaginata soddisfazione di corrispondenza.” (F. Botturi “La generazione del bene”, Vita e Pensiero, Milano, 2009 – p. 221.)

1.2. Ad un uomo libero

“Qualcosa accade a me, uomo razionale e libero. In altri termini, dato che l’uomo è uno di anima e di corpo (Gaudium et spes 14), la sua esperienza affettiva affonda le radici sia nel terreno della realtà bio-psichica sia in quello della realtà spirituale. Se è vero che abbiamo in comune con gli animali istinti ed inclinazioni, è altrettanto vero che noi siamo chiamati a vivere le inclinazioni e gli istinti secondo la forma specifica della nostra razionalità…” In altri termini c’è, come dice San Tommaso, una dialettica tra gli appetiti, le inclinazioni legate alle pulsioni dell’amore e la libertà della scelta consapevole.

Questa scelta è “realisticamente” possibile se l’io non si chiude ma vive nell’orizzonte della totalità…

“Infatti l’orizzonte adeguato, che permette all’io (ragione e libertà) di respirare “a pieni polmoni” e non rinchiudersi asfittico fino a soffocare, è la totalità. La totalità dell’io e della sua storia in costante paragone con la totalità del reale. Anche se tale orizzonte può dare le vertigini e costare sacrifici…” (p. 60)

Botturi, a proposito della messa in campo della totalità dell’Io commenta: “Se nell’innamoramento l’affetto è soprattutto effetto, nell’amore esso è, invece, iniziativa e continuo re-inizio. Per questo l’amore ha caratteri opposti all’innamoramento, è opera della libertà, richiede lavoro, ha la dimensione della durata, mette in campo la facoltà della volontà: amare significa voler-amare, cioè assumere liberamente l’intenzionalità affettiva che l’innamoramento offre spontaneamente. Tale libera assunzione opera una trasformazione dell’affetto, un suo cambiamento di ‘forma’, che consiste nel passare dal regime della spontaneità passiva, ripetitiva e infruttuosa, a quello dell’iniziativa innovativa e produttiva… amore è elaborazione in cui l’altro assume contorni reali ed è convocato ad un lavoro comune per un beneficio nuovo condiviso…” (Botturi p. 222)

Conclude giustamente Scola: “Iniziata sotto i segni di una certa passività, l’affezione si rivela come la più impegnativa delle attività!” (p.60)

1.3. L’irrompere sulla scena dell’altro

La dimensione della totalità comprende anche la importantissima componente della durata.

“La misura del desiderio umano – lo abbiamo visto parlando della libertà – è la totalità. Dall’invincibile ardore del grande Ulisse, fino al voglio tutto della piccola Teresina, sono innumerevoli le testimonianze di questa “magnanimità” (alla lettera: grandezza dell’animo) che, prima di essere una virtù morale, è un’incancellabile carattere della nostra natura originale. Un connotato della nostra ontologia, direbbero i filosofi. Misconoscerla o disprezzarla significa imboccare il tunnel dell’insoddisfazione.

Poter essere definitivamente amati e poter amare “per sempre”: non c’è uomo o donna che non senta la verità affascinante e irresistibile di questa prospettiva. E che, d’altra parte, non debba ammettere la propria strutturale incapacità a mantenerla aperta nel giudizio e nell’azione. L’infinito, ciò a cui il nostro io anela con tutte le sue forze (davvero è capax Dei!), non è alla nostra portata!” (pp. 60-61)

1.4. Una miscela esplosiva

Oggi nella mentalità dominante questa dimensione della durata è completamente travisata.

“Per salvaguardare l’inalienabile diritto alla tua auto-realizzazione tu devi (è il nuovo imperativo categorico!) alimentare continuamente la fiamma del desiderio moltiplicando indefinitamente le esperienze. Si cerca in questo modo di afferrare il “per sempre” del desiderio sostituendo la qualità con la quantità.

In altra occasione, tentando di identificare i tratti più caratteristici della mentalità dominante circa le dimensioni costitutive dell’io, ho definito il trend qui abbozzato come clima erotistico pervasivo.

Esso prende alimento da tre radici della storia dell’amore, in Occidente rintracciabili nel libertinismo, nel romanticismo e nell’attuale consumismo. Alla originaria prospettiva libertina dell’amore che dichiara lecito ogni rapporto sessuale tra il più forte e il più debole (un tempo il potente signore poteva usare degli schiavi a suo piacimento) si sostituisce, nell’ottica liberale, la variante che è lecito ogni rapporto sessuale tra adulti consenzienti”. (p. 65)

“In tal modo la sinergia tra la concezione libertina e quella romantica dell’amore (che esalta la passione, il tu irresistibile, assolutamente complementare, per cui l’amore è malattia mortale, ndr), amplificata dai potenti mezzi della civiltà della comunicazione e dei consumi, dà luogo ad una miscela esplosiva che può distruggere l’umano”. (pp 65-66)

  1. Il versante oggettivo

2.1. Qualcosa di evidente eppure inesprimibile

 “Abbiamo visto il versante soggettivo dell’amore, descrivendo la modificazione che esso provoca nell’io. Tentiamo ora di descriverne quello oggettivo: che cos’è l’amore preso in se stesso?…

Potremmo anche usare la parola mistero, liberandola però da quelle incrostazioni – oggi tornate di moda – che la identificano con l’ignoto, il territorio inquietante di forze oscure, occulte, ostili all’uomo e restituendola al suo significato cristiano.

Mistero è qualcosa di reale che s’impone all’esperienza pur sfuggendo alla ‘presa’ dominativa della ragione. Insondabile, ma presente e profondamente corrispondente al cuore dell’uomo (di qui la sua semplicità)” (pp 67-68)

Il primo insondabile mistero, quasi un enigma, è il porsi della relazionalità originaria che costituisce la persona.

Nella premessa Scola scrive: “L’io nasce sempre dentro una relazione. È stato così fin dalla comparsa dell’uomo sulla terra e continuerà ad esserlo fino alla sua sparizione. Nessuno potrà mai farsi da sé, nemmeno nel caso in cui, – nell’inquietante scenario sempre meno fantascientifico che ci si prepara – venisse al mondo come un prodotto di laboratorio.

Sempre, dunque, una relazione mi precede. Da un altro ho origine. Di un altro ho bisogno per compiermi.

La cosa, come tutte le altre che riguardano il cuore (cioè il nucleo adamantino e inalienabile) dell’uomo è più difficile da spiegare che da sapere o, meglio, da riconoscere.

È la vita stessa che si incarica di ricordarcelo. Pensiamo allo sguardo rapito del bambino che, scoprendo per la prima volta il sorriso della mamma, s’illumina tutto. O alle doti insospettate che improvvisamente affiorano nel ragazzino timido e goffo dopo che la ragazzina gli ha detto di sì. O, ancora, al “miracolo” ottenuto dalla voce della donna amata capace di richiamare dall’abisso dell’incoscienza in cui era sprofondato un uomo vittima di un gravissimo incidente.

L’io non è una monade autosufficiente ed in sé conclusa; si desta, si muove e si compie solo per l’irresistibile attrattiva del tu. Con la parola amore – oggi più che mai usurata, sfigurata, fraintesa – si vuol indicare questa esperienza universale ed originaria che, proprio perché tale, non può andar perduta senza che si smarrisca l’uomo in quanto uomo. Per questo si parla di amore come caso serio. Usando questo aggettivo non mi riferisco anzitutto alla sua valenza etica. Quando io metto in guardia i giovani dal rischio di una banalizzazione dell’amore, non intendo farne in primis una questione morale, ma una questione di verità. Di lealtà con le cose così come stanno. Solo la verità, infatti, poiché ci corrisponde profondamente, genera gusto e dà l’energia morale necessaria. Per scoprire i lineamenti costitutivi dell’amore dobbiamo risalire, sia pur rapidamente, alla sua sorgente: al gesto creatore del Padre. Dio, creando l’uomo e la donna, ha voluto partecipare la propria natura comunionale ed ha loro impresso nel cuore un dinamismo inarrestabile di apertura reciproca. Eva è messa a fianco di Adamo come segnaposto del radicalmente altro, l’Infinito: la destinazione finale del desiderio umano. Così la differenza sessuale (uomo-donna) viene a rivelarsi come luogo privilegiato di quell’uscita originaria dell’io verso il tu che dà il volto alla persona e le permette il dono totale di sé, la stoffa costitutiva dell’amore.” (pp.9-10)

Dunque la manifestazione chiara dell’alterità originaria è la differenza sessuale.

“Così originaria che, se la si abolisse, l’essere umano ne risulterebbe “snaturato”. L’uomo non sarebbe tale.

Senza dover ricorrere alle analisi più scaltrite degli esperti di scienze umane, basta uno sguardo semplice e leale sulla realtà per rilevare questo fenomeno assolutamente evidente: nessuno può esaurire in sé tutto l’uomo. Sempre avrà di fronte a sé l’altro modo (la donna per l’uomo e l’uomo per la donna), a lui inaccessibile, di esserlo. Possiamo pertanto dire, con Giovanni Paolo II, che l’uomo è, in realtà, l’unità duale di uomo-donna…

L’uomo e la donna sono identicamente persone, ma sessualmente differenti. Tale differenza pervade tutto l’essere umano, fin nell’ultima sua particella: il corpo dell’uomo, infatti, è in ogni sua cellula maschile, come quello della donna è femminile. …

L’altro è per me tanto inaccessibile quanto necessario. La natura sessuata rappresenta uno dei luoghi originari in cui l’uomo fa l’esperienza della propria contingenza creaturale. O – più precisamente anche se in termini un po’ più tecnici – della propria ontologica dipendenza e della conseguente capacità di relazione.

Il disegno originario di Dio nel farci maschi o femmine ha a che fare con l’educarci a capire il peso dell’io e il peso dell’altro.

La differenza sessuale si rivela così come “scuola elementare” per l’uomo. Si tratta di imparare l’io attraverso l’altro e l’altro attraverso l’io”. (pp 16-17)

“… In forza della differenza sessuale l’io è spinto verso l’altro dal suo interno. Non si tratta, anzitutto, di un problema etico. L’uomo, in prima istanza, non va verso l’altro per dovere. Egli ci va strutturalmente (per un insuperabile dato ontologico). Dunque l’amore, in senso proprio, nasce dall’obiettivo rapportarsi di un soggetto ad un altro soggetto”. (p.68)

Come afferma Albacete, commentando il libro di Scola al Meeting di Rimini nel 2002, questa evidenza è oggi oscurata da un “individualismo radicale secondo il quale le relazioni interpersonali sono puramente accidentali. Non sorprende che questo pregiudizio porti a considerare il matrimonio per esempio come null’altro che una parentesi domestica i cui contenuti scopi e termini, sono interamente determinati dagli individui coinvolti”.

2.5. Amore dell’altro e amore di sé (inconciliabilità o compatibilità?)

“Tra l’amore dell’altro (e l’altro irriducibile, l’unico veramente tale, è Dio) e l’amore di sé c’è compatibilità o incompatibilità? Di più: è davvero possibile amare l’altro di un amore gratuito, totalmente disinteressato? Lewis, ad esempio, afferma: «… solo uno sciocco e uno sfrontato avrebbe l’ardire di presentarsi davanti al suo creatore con questa pretesa: “io non vengo qui a mendicare; ti amo disinteressatamente”».

Se, da una parte, la totale abnegazione con cui Madre Teresa amava i poveri raccolti sulle strade di Calcutta ci appare più degna del nome di amore dell’esaltazione sempre un po’ narcisistica degli amori adolescenziali, dobbiamo ammettere che nel nostro Occidente emancipato il secondo modello è sempre più diffuso! Anzi la sottolineatura egotistica è talmente marcata che ogni scelta di sacrificarsi per l’altro è sentita un po’ con sospetto, come una minaccia al proprio bene-essere.

Cominciamo con il dire che la grande tradizione cattolica non ha mai contrapposto la forma dell’amore che cerca la piena affermazione di sé (eros), a quella che, per affermare l’altro, accetta la piena rinuncia a sé (agàpe).

…La carità, cioè la forma più sublime dell’amore (cfr. 1 Cor 13), incomincia dall’amare il proprio io.

Dunque la contrapposizione tra eros e agàpe non appartiene alla sensibilità cattolica…

Per dire io devi auto-possederti. Ma questo auto-possesso, subito dopo, deve fare i conti con la necessità dell’uscita da sé, dell’andare verso l’altro, oggetto o persona che sia. Due forze – una centripeta ed una centrifuga – sono sempre in gioco in ogni atto della libertà e, a fortiori, in quello più personale: l’amore”. (pp 69-70-72)

 2.5.1 La condizione del sacrificio

“L’esperienza quotidiana ce ne offre (delle due forze opposte ndr) decine di esempi: nel rapporto tra madre e figlio, padre e figlio, uomo e donna, amico ed amico… Ogni volta che l’altro ci mobilita colpendoci con uno sguardo, un sorriso, una parola, un rimbrotto, una provocazione, un’intuizione… immediatamente ci protendiamo verso di lui nel desiderio del compimento, ma un istante dopo siamo tentati di strumentalizzare il tutto, incapsulandolo in un disegno nostro.

Invece solo se accettiamo il sacrificio di lasciare essere l’altro come altro, ridimensionando la nostra spinta egotistica, possiamo raggiungere il compimento del nostro desiderio. Ma non bisogna scandalizzarsi di questo doppio movimento della libertà, rintracciabile in ogni nostro atto…

Il problema a questo punto potrebbe essere così riformulato: qual è la strada che consente l’attuazione del proprio bene oggettivo evitando la caduta nell’egoistica pretesa del realizzarsi da sé?

La risposta ce la suggerisce, ancora una volta, Gesù: «Chi cercherà di salvare la propria vita, la perderà, chi invece l’avrà perduta la salverà» (Lc 17, 33). È il segreto dell’evangelica povertà dello spirito. È, per coloro cui è data la grazia di riconoscerlo, la ‘direttissima’ verso il definitivo possesso dischiusa dalla verginità consacrata. «Chiunque avrà lasciato case, o fratelli, o sorelle, o padre, o madre, o figli, o campi, per il mio nome riceverà cento volte tanto e avrà in eredità la vita eterna» (Mt 20, 29) (pp 71-72)

“… per conoscere il volto autentico dell’amore bisogna guardare al dispiegarsi totale dell’esperienza umana di Cristo. Il modello supremo dell’amore è certamente il Crocifisso, ma il Crocifisso risorto. Gesù, per seguire l’intera traiettoria del proprio desiderio, accetta di iscriverlo nella volontà del Padre: “non come voglio io ma come vuoi tu” (Mt 26,39b). E questa accettazione implica la sua adesione pienamente consapevole. Ma, rinunciando a sé per aderire al Padre, Gesù sa che il Padre si fa carico del Suo compimento: ed in effetti il padre lo resuscita.

Un esempio di questo sacrificio è fatto da Scola con il riferimento ad Abramo che, per aderire alla volontà del Padre, si deve staccare da tutto ciò che possiede ma “Dio si mostra capace di mantenere la promessa rispondendo al suo desiderio di fecondità, ben al di là di ogni suo progetto o tentativo Dopo essersi dato da fare con le proprie mani (il figlio della schiava), Abramo se la trova realizzata (il figlio della donna libera) solo dalle mani di Dio. L’idea di corrispondenza che aveva in testa viene ribaltata. Non ciò che mi corrisponde mi deve essere dato. Ma ciò che mi è dato – proprio in quanto dato da un Padre che mi conosce e mi vuole bene molto più di quanto sia possibile a me – mi corrisponde”. (p 48)  

“Così, fatte le debite distinzioni, è per noi. L’istintivo moto con cui l’uomo allunga le mani per afferrare l’oggetto del proprio desiderio – come in modo potente lo raffigura il genio artistico di Giotto nel suo «noli me tangere» – può sfociare nel più squisito atto oblativo di libertà, se accetta che sia un altro a dettare le condizioni della propria realizzazione. In questa scelta, capace di sacrificio, l’uomo gioca l’inverarsi dell’amore di sé nell’amore del proprio bene.” (p. 71)

Collocando qui un passaggio di Scola precedente si può concludere: “Siamo entrati, a questo punto, nel campo dell’autentica gratuità. E non è un caso che il termine abbia in sé la stessa radice della parola grazia”. (p. 61)

Autentica e forse primaria manifestazione della gratuità è il perdono.

“Così il perdono diventa una possibilità inesauribile. Mai forse come nel perdono vicendevole tra il marito e la moglie emerge la novità assoluta del cristianesimo. La grazia del sacramento introduce nel rapporto una sorta di “stima previa” per cui io posso guardare all’altro non per quello che fa – fosse anche l’offesa più devastante – ma per quello che è. Cioè il segno più vicino della presenza di Cristo alla mia vita. Uno che Lui ha amato e per cui dà la vita, esattamente come per me. Ed è possibile parlare di «ascesi dell’ammirazione, come volontà di riconoscere e sostenere il bene che c’è nell’altro». Così l’autentico rapporto tra il marito e la moglie rivela ancora, dopo molti anni, una crescente ed insospettabile freschezza, perché non è seppellito sotto i detriti dei limiti, delle resistenze e dei peccati propri e dell’altro. Anzi, la grazia del sacramento fa sì che questi possano trasformarsi in fattori di un cammino: gradini per la risalita verso la verità e non tomba che schiaccia e uccide la vita” (p. 82)

Quale vantaggio umano della pratica di questa dimensione può essere sperimentato? Una suggestione ce la offre Botturi:

“Se la libertà è anche relazione gratuita con un’altra libertà cioè amicizia per un’altra libertà come tale, l’accadere dell’amore è la forma più densa di libertà e quindi ad un tempo è affermazione dell’altro e affermazione di sé: amando il bene (della relazione) d’altri colui che ama si procura il bene della crescita di intensità e di qualità della propria libertà” (Botturi p. 2)

Domande -stimolo

Per aiutarci a valorizzare questi ulteriori spunti ecco alcune domande-stimolo. Con la prima si è tenuto conto di una cosa ovvia: i nipoti possono avere età differenti per cui bisogna tenerne conto.

  • Ti è accaduto di affrontare il tema della relazione affettiva tra uomo e donna con i tuoi nipoti? Se ti è capitato potresti descriverne le circostanze e le modalità anche in rapporto alle loro diverse età?
  • In particolare, incontrando le domande dei tuoi nipoti sul significato profondo della relazione tra uomo/ donna (v. “dal dato al dono”) sei riuscito e come a rispondere in modo propositivo?
  • Se non ti fosse mai capitato (di trovarti a rispondere agli interrogativi circa la relazione uomo/donna), le riflessioni di Scola, in termini di contenuto e di comportamento, ti hanno sollecitato in tal senso? e che aiuto pensi ti offrano?
  • Sono esistiti eventi con i tuoi figli e con i tuoi nipoti che ti hanno insegnato il sacrificio, l’apertura al bene in comune, il perdono nelle relazioni affettive?
  • Hai qualche indicazione “pratica” che ti senti di offrire a tutti i nonni?
  • Che iniziative ti sembra possiamo mettere in atto in questa direzione?

Un ulteriore approfondimento di questo tema è stato effettuato in un successivo Gruppo di lavoro che ha prodotto il documento che segue. clicca qui

Pierluigi Ramorino