FAMILY DAY

POLITICI DOVETE ASCOLTARE LA VOCE DEL FAMILY DAY

Attualità Presenza pubblica

Sabato scorso si è tenuto a Milano un affollato incontro promosso dal Comitato Nazionale Difendiamo i nostri figli, in vista della prossima tornata elettorale.

Non appena disponibile provvederemo a darvi indicazioni per vederne la videoregistrazione. Nel frattempo ve ne anticipiamo un breve abstract.

Dopo l’introduzione effettuata dal nostro Vicepresidente Peppino Zola, è intervenuta la Prof.ssa Laura Boccenti che, partendo dai dati tratti dal rapporto CENSIS 2017 ne ha distillato un’accurata analisi che ci ha mostrato una disarmante situazione dell’attuale società italiana “coriandolizzata”, cioè non più costituita da gruppi di persone che interagiscono e dialogano fra loro, ma piuttosto formata da ammassi di individui di fatto soli, con riferimenti sempre più deboli e quindi facilmente manipolabili. Si veda in allegato il testo della relazione.

Di qui è partito l’intervento di Massimo Gandolfini, Presidente del CDNF, che ha sottolineato ancora una volta come la famiglia naturale, e solo la famiglia naturale, rappresenti la residua forte e vera boa alla quale ci si può attraccare per non perdersi in questa società liquida. Dobbiamo quindi chiedere alla politica che sia sempre più attenta ad evitare la messa in atto di provvedimenti legislativi che ne minino ulteriormente l’integrità e produrre invece forme di difesa e aiuto che ne facilitino la crescita, attingendo dai valori sostenuti, proposti e condivisi dal “popolo” degli ultimi due Family Day.

Prossimamente il CDNF presenterà alle diverse compagini politiche le proprie istanze, e, sulla base delle risposte che ne otterrà potrà formulare un’indicazione di scelte sulle quali orientare il nostro voto.

Pierluigi Ramorino

Elezioni 2018 - Il contesto storico-culturale di Laura Boccenti
Elezioni 2018
Il contesto storico-culturale

di Laura Boccenti

  1. Oggi il campo principale dello scontro culturale e politico è l’uomo. Questo scontro negli ultimi 50 anni della nostra storia, ha visto avanzare la prospettiva del dominio totale dell’uomo sulla vita, un dominio realizzato attraverso la tecnica combinata all’ingegneria sociale.
    Chi sostiene lo sviluppo umano integrale, fondato sul rispetto della dignità dell’uomo, e quindi sul riconoscimento e la difesa della sua natura, si è trovato a dover sostenere un ruolo di difesa.
    (Un ruolo di difesa che non deve essere inteso come ruolo di retroguardia, anacronistico e superato dal progresso. Il metro del progresso è lo sviluppo o il degrado dell’uomo, non l’innovazione in quanto tale.)
  2. I momenti principali di questo confronto li conosciamo tutti: nel 1970 l’approvazione della legge sul divorzio, nel 1978 la legge 194 che legalizza l’aborto, nel 2015 introduzione del divorzio breve, nel 2016 le unioni civili che legalizzano di fatto il matrimonio fra persone dello stesso sesso, nel 2017 le Dichiarazioni Anticipate di Trattamento, che aprono la strada all’eutanasia. Contemporaneamente si sono gettate le basi per togliere la libertà di pensiero ed espressione (con cosiddetta legge antiomofobia), introdurre l’educazione Gender nelle scuole, sponsorizzare la compravendita dei bimbi con fecondazione artificiale, utero in affitto e adozioni omogenitoriali.
    L’impatto di questo itinerario ha sfilacciato il tessuto sociale, (come si nota anche solo guardando i voti con cui alcune di queste leggi sono state approvate).
    Il 51° Rapporto del CENSIS fotografa una società che ha compiuto il passaggio da una situazione coriandolare (espressione utilizzata da Giuseppe De Rita, nel 41° Rapporto CENSIS) alla situazione di coriandoli dissociati; volendo descrivere con questa espressione una situazione di finale liquefazione del tessuto sociale.
    Quella che viene descritta è una società italiana che ha cambiato la sua morfologia, che è sempre meno società e sempre più “sommatoria di frammenti” (pag. 7), cioè dis-società, luogo di relazioni, sempre più conflittuali.
    Una larga maggioranza di questa società, costituita non solo dai giovani, percepisce la politica come strutturalmente incapace di dare risposte.
  3. (“I dati segnalano la dimensione colossale dell’onda di sfiducia che ha investito la politica e i suoi soggetti: l’84% degli italiani non ha fiducia nei partiti politici, il 78% nel Governo centrale, il 76% nel Parlamento, il 70% nelle istituzioni locali, dalle Regioni alle amministrazioni comunali. (…)
    – il 60% degli italiani si dichiara insoddisfatto di come funziona la democrazia nel nostro Paese;
    – il 64% è convinto che la voce del cittadino semplicemente non conti nulla” (pag. 32).)
    Si tratta, pertanto, di coriandoli dissociati e sfiduciati.
    Questa condizione, però, non conduce a reazioni organizzate, ma a una condizione di apparente rassegnazione.
    Questa è la parte più interessante del rapporto che mette in luce la dimensione sistemica della sfiducia.
  4. (“Sono numeri che raccontano una insoddisfazione slegata da singole figure politiche, e connessa piuttosto a una dimensione strutturale, di lungo periodo. È una sfiducia sistemica, il cui tocco corrosivo ha ormai raggiunto i gangli vitali della sfera socio-politica (…)” (pag. 32). )
    Ciò che sembra essere venuto meno è lo spazio della speranza che rende possibile immaginare un futuro migliore e questo condiziona ogni sforzo di ricostruzione di un tessuto sociale sano, in grado di durare nel tempo.
    Il venir meno della progettualità sul futuro ha prodotto un atteggiamento rancoroso, che reputa del tutto inutile non solo l’impegno, ma persino la contrapposizione socio-politica e si dirige invece sulle micro-relazioni, cioè verso coloro che, con la loro prossimità, possono disturbare il livello di benessere quotidiano faticosamente raggiunto.
    Il rancore non conflittuale sembra nascere dal constatato fallimento non di promesse di singoli o di gruppo, ma di tutte le promesse della modernità.
    ((“Anche quest’anno (…) debole appare ogni sforzo di mobilitazione sociale e collettiva, segnata più da eventi isolati che da processi di progressiva compressione sociale. Le tante esplosioni di rabbia registrate negli ambiti familiari sembrano confermare il breve raggio di influenza anche della rabbia e della paura” (pag. 5).))
  5. Indicativo sul punto risulta l’andamento di un certo tipo di criminalità legata alla conflittualità micro-relazionale .
    (“(…) Le passioni tristi di questi anni sono anche l’espressione di una crisi dell’immaginario collettivo, cioè di quell’insieme di valori di riferimento, di simboli e di miti in grado tanto di plasmare le aspirazioni individuali e i percorsi esistenziali di ciascuno, quanto di definire un’agenda sociale condivisa.
    (…)
    Oggi, invece, a immaginari plurimi, più instabili e variabili, con minore forza propulsiva rispetto al passato, corrispondono identità più labili, senza epiche fughe in avanti” (pag. 28).)
    La capacità di immaginare il futuro è venuta meno perché il futuro stesso non viene più percepito come qualcosa che può essere diverso dal presente e, quindi, non desta alcun interesse.
    All’impossibilità d’immaginare un futuro migliore corrisponde la nuova mappa dell’immaginario collettivo, che cerca una felicità sostenibile individualmente ed è centrata sulla ricerca del benessere individuale, dei suoi strumenti e simboli:
  6. (“Nell’ultimo anno gli italiani hanno speso complessivamente 194 miliardi di euro (+4,6% in termini reali tra il 2014 e il 2016) per una galassia di servizi per la casa e la famiglia e per il benessere soggettivo, dall’estetica al tempo libero:
    (…) Si manifesta insomma una nuova soggettività che si rimette al centro dei processi quotidiani, con un’attenzione estrema al benessere psicofisico. Ecco perché non può sorprendere che il 78,2% degli italiani si dichiari molto o abbastanza soddisfatto della vita che conduce (la percentuale è pari al 79,3% al Nord- Ovest, all’82,5% al Nord-Est, all’81,7% al Centro e al 72,8% al Sud) (pagg. 7-8).
    E, contemporaneamente, scarica sulle micro-relazioni l’insofferenza per ogni ostacolo nel percorso verso il proprio benessere.

Sono proprio le relazioni sociali ad essersi “ammalate”

Sabato scorso a Roma Davide Rondoni ha parlato dell’inverno demografico commentando il Canto notturno di un pastore errante dell’Asia di Giacomo Leopardi, soffermandosi, tra l’altro su queste espressioni:

Dimmi, o luna: a che vale

Al pastor la sua vita,

La vostra vita a voi? Dimmi: ove tende

Questo vagar mio breve, …?

Che vuol dir questa solitudine immensa? ed io che sono?

Rondoni osservava che la canzone di Leopardi esprime la domanda centrale dell’uomo e contemporaneamente contiene anche la risposta che la modernità pronuncia a questa domanda. La domanda è: qual è il senso della vita?

E la risposta della modernità a questa domanda, di cui Leopardi è testimone e interprete, è che non esiste un senso dell’esistenza valido per tutti perché ciascuno è libero d’inventare la propria identità.

A un certo punto della storia della nostra civiltà l’uomo si è trovato orfano di senso perché non sapeva più rispondere alla domanda sulla propria identità (ed io che sono?).

Quando l’uomo non riesce a trovare una risposta a questa domanda che non riguarda solo la dimensione individuale (chi sono io come singolo), ma quella sociale (cosa sono, qual è il mio valore proprio nelle relazioni), la conseguenza è quasi scontata: come ha osservato Rondoni, se non sai che cosa sei non riesci a generare. Perché l’identità è in rapporto con la generatività: se tu non sai cosa sei non generi, e non solo in senso biologico.

La persona diventa consapevole della propria identità attraverso le relazioni che sono irrinunciabili perché contribuiscono in misura essenziale alla sostanza della vita che è data in ogni suo aspetto come relazionale: il legame con Dio, con gli altri uomini e col mondo.

L’importanza della relazione è decisiva perché la natura della persona umana è dialogica, essa impara a riconosce la propria identità grazie alle relazioni perfettive grazie a cui attua le sue varie dimensioni.

Si può dire che le relazioni perfettive sono quelle che consentono alla persona di riconoscere e attuare la sua identità.

Perchè questo avvenga la relazione non deve avere solo un contenuto affettivo, ma deve  anche essere conformata in modo da esprimere i concreti legami di appartenenza che definiscono la realtà della vita umana, in modo che la persona non rimanga sospesa nel vuoto, ma riconosca il proprio posto nel mondo e il suo fine a partire dalla famiglia e dalla comunità d’origine: riconosca che chi ha concepito è un figlio, verso cui ha una responsabilità; che chi l’ha generato sono un padre e una madre, verso cui ha un debito di riconoscenza;

Se la cultura in cui l’uomo nasce non gli trasmette il senso e il valore della tua esistenza inserendolo in un contesto in cui le relazioni sociali lo orientano verso il suo fine proprio, l’uomo potrà ancora pensarsi come individuo (ciò che fa Cartesio col suo cogito), ma avrà perso il senso della sua collocazione nell’universo che proviene dalla consegna di una tradizione.

I macro legami sociali, cioè i grandi contesti collettivi fondati su una visione condivisa di valori, e le comunità fondate su consuetudini e tradizioni, a partire dalla modernità sono stati attaccati da un processo che prima ha prodotto la dissoluzione delle macro relazioni, causando inizialmente la fine dell’unità religiosa con la Riforma, poi la fine dell’unità sociale e politica, a partire dalla Rivoluzione francese fino alla “guerra civile europea” dal 1914 al 1989; poi, con la rivoluzione antropologica del Sessantotto, è iniziata la dissoluzione  delle microrelazioni.

All’inizio la modernità si è limitata a combattere alcuni aspetti dei legami sociali, denunciati come oppressivi, rivendicando il compito di realizzare legami più giusti e più elevati (nella famiglia, nel lavoro, ecc.), di fatto però ha sganciato l’uomo dalle relazioni sociali esistenti, abituandolo a vedere il legame sociale come una costrizione che limita la libertà e spingendolo a credere di potersi realizzare solo se si mantiene in una condizione di potenzialità indeterminata.

L’esperienza dimostra però, che liberarsi da certi legami non comporta la possibilità di vivere senza legami, ma comporta entrare in altri legami. Così si è affermata l’utopia di riforgiare la realtà rifiutando tutto ciò che non dipende dalla volontà dell’individuo.

In questa prospettiva la modificazione dei legami sociali diventa lo strumento per trasformare l’uomo fino a ridefinirne la natura e la ridefinizione dell’umano riguarda tutte le dimensioni dell’uomo: corporea, psichica, sociale e culturale. Per la cultura postmoderna è l’individuo che deve scegliere la relazione a cui appartenere e con essa il legame che fonda la sua identità.

Questo significa che il modo in cui viene concepito e praticato il legame sociale ha come posta in gioco l’uomo stesso; per questa ragione, oggi, la questione sociale è diventata questione antropologica.

L’individualismo e il relativismo, che ci circondano e ci condizionano, sono temi culturali.

Tuttavia la politica non è estranea ad essi. E’ vero che non sarà per motivi politici che gli uomini decideranno di cambiare i loro stili di vita e la direzione della propria esistenza, ma è anche vero che la politica può determinare le condizioni in cui queste decisioni possano essere più facili o più difficili da prendere.