GRUPPO DI LAVORO SUL TEMA DEL “BELL’AMORE” INDICATO DAL CARD. SCOLA

Nonni e Famiglia Riflessioni

Un gruppo di soci ha lavorato insieme per approfondire il tema partendo dalle domande poste nell’incontro di Bergamo.

<strong>Introduzione di Giovanna Rossi</strong>

Immagino che tutti abbiate avuto il tempo di rileggere questo documento che abbiamo messo insieme con Pupa e Sandra, è stata una bella occasione di scambiarci riflessioni su queste cose così profonde. L’unica cosa che mi permetto di fare è rileggere l’indice di questo intervento e poi riferire le domande che abbiamo pensato, anche queste con uno sforzo congiunto.

La prima cosa che abbiamo messo in rilievo nel documento, come peraltro avevamo fatto anche a Bergamo, è che il metodo è partire dall’esperienza, ed è per questo che, alla fine del documento, abbiamo preparato delle domande legate all’esperienza che in questi anni abbiamo avuto su questo tema. Il volume di Scola è molto articolato e anche complesso, noi abbiamo considerato la seconda parte che si intitola “Ti amo”.

In particolare indico l’itinerario che abbiamo fatto nella stesura del documento, abbiamo sintetizzato alcune affermazioni di Scola con un piccolissimo commento dove necessario. Poi abbiamo anche incluso il dizionario che lui utilizza, indica quelle parole che l’autore delinea come parole in disuso, non ne avevamo parlato a Bergamo perché si era stati più sintetici. Dobbiamo riflettere su questo itinerario dall’innamoramento all’amore; io qui sottolineerei la questione che ci si rivolge a un uomo libero, mi sembra importante questo: l’avvenimento dell’affettività capita ad un uomo libero, che quindi si deve chiedere il significato e poi deve rispondere. L’irrompere sulla scena dell’altro è infatti una miscela esplosiva, perché cambia le caratteristiche della relazione e le caratteristiche dell’esistenza.

Ora, nella contingenza attuale i nostri nipoti sono tirati molto fortemente in varie parti, anche per questo si tratta di una miscela esplosiva, che necessita di essere governata. Questo per quanto riguarda il versante che abbiamo chiamato soggettivo. Per quanto riguarda il versante oggettivo, Scola ci pone davanti a un tema molto rilevante: il tema del mistero dell’innamoramento; però bisogna liberare la parola mistero da identificazioni che lo assimilano a forze occulte. Con la parola mistero ci si riferisce ad una relazionalità originaria che costituisce la persona. Su questo è molto importante riflettere. Altro punto su cui abbiamo riflettuto è il tema dell’amore dell’altro e dell’amore di sé, vale a dire sul fatto che queste due tensioni paiono a molti in conflitto Se amo me stesso non riesco a uscire da me, io devo amare Innanzitutto me stesso e ciò è in conflitto con l’amare l’altro. Qui si dice che l’amore all’altro è l’inveramento della relazione ed è pertanto anche un inveramento di sé.

Infine l’ultimo punto che abbiamo evidenziato: quello del sacrificio che poi si connette anche altri momenti della vita. La relazione così specifica dell’innamoramento non avviene mai senza un sacrificio di sé.

Interventi
Francesco Botturi

Accenno a tre cose che mi sembrano premesse culturali importanti per il discorso contemporaneo sull’affettività. Tutto quello che noi possiamo dire è bene che tenga conto di queste quattro cose.

  1. Viviamo in una società occidentale avanzata, che ha come ipotesi progettuale che la famiglia non sia più un’istituzione indispensabile. Mentre nel passato è sempre stata rispettata come istituzione necessaria alla trasmissione della vita e alla riproduzione della forza lavoro, nella società tecnologica avanzata viene meno il senso di tale necessità. Questo è un vissuto ormai diffuso; infatti, il far famiglia nel senso compiuto, tradizionale non è più una scelta ovvia.
  2. L’uomo di oggi, soprattutto il giovane, che riceve e subisce il meglio e il peggio della tradizione, ha difficoltà a “fare esperienza”, cioè a comporre unitariamente il suo vissuto. Questo perché il vivere contemporaneo, prima di ogni scelta, è distribuito in due sfere opposte, ma anche negativamente complementari, cioè compensative, una dell’altra. Una è la sfera della ragione, sul modello tecnico, impegnata nelle cose da far funzionare, l’altra è quella del mondo delle emozioni, il mondo caldo del vissuto. C’è dunque il mondo freddo della ragione tecnica e il mondo caldo delle emozioni, separate e parallele. La società contemporanea è costruita così e, se ci pensiamo, i giovani vivono marcatamente così: vita diurna e vita notturna, ragione ed emozione, norma e sregolatezza, a cui non corrisponde automaticamente il positivo e il negativo. Piuttosto, prevale un dualismo che toglie affetto dal mondo del dovuto e toglie capacità di giudizio critico al mondo del desiderato.

III. La naturalizzazione del sesso. In conseguenza dello sganciamento del mondo degli affetti dalla valutazione razionale, che li può inserire nel tutto antropologico, il sesso scivola verso una funzione spontanea e immediata di soddisfazione emotiva e di piacere. Il sesso fa parte delle funzioni biopsichiche, come lo sono il mangiare, il bare, il dormire, il fare esercizio fisico, in funzione del ben-essere soggettivo. Oggi un ragazzo assorbe facilissimamente questa idea. La questione è seria, perché non è un problema di trasgressione; infatti qui non c’è nulla da trasgredire, semplicemente si esercita una sessualità così concepita.

  1. Pluriformità dell’esercizio sessuale. Se il sesso si identifica con una funzione di soddisfazione di un “bisogno naturale”, allora tutte forme di esercizio sessuale saranno disponibili, con la sola discrezionalità della sensibilità soggettiva. Il senso comune odierno pone, infatti, come limite solo il libero consenso di altri implicati.

Per chiudere il cerchio e congiungersi al primo punto: c’è sempre stata nella storia umana una iniziazione sessuale socialmente regolata o spontanea e sregolata; ma, in una società tradizionale, questo veniva biograficamente recuperato grazie al riferimento finale alla famiglia, come nella prima osservazione. C’era cioè un orientamento di fini fondamentali; ma se, come accade oggi, si assottiglia l’idea normativa della famiglia, il sesso si ferma al livello dell’esperimento e del divertimento. Dire sesso oggi non vuol dire parlare di qualcosa che comunque dirige verso un’idea unitaria dell’esperienza, verso un progetto di vita.

Innocenza Laguri

Parto da una premessa: una di noi ha ben identificato le due facce della medaglia del nostro accompagnarci come Nonni 2.0: una è il giudizio sulle circostanze attuali, la presa di posizione, con il prossimo convegno del 27 mi sembra si parli anche di “proposte politiche” che ovviamente avranno poi bisogno di gambe. L’altra è quella che io chiamerei con termine antico, la costituzione di soggetto, cioè di noi, di un soggetto che è in una particolare circostanza della sua vita. Tutti noi abbiamo i nostri riferimenti, ma questo farci compagnia come Nonni 2.0 ha per me il vantaggio di partire in modo induttivo, cioè di partire con l’identificazione di circostanze precise; proprio questo mi può aiutare contro due pericoli molto collegati tra loro, che vivo molto: 

  1. A) davanti alle circostanze per certi aspetti ormai precise, definite (in realtà sono provvisorie, alla nostra età) rischio l’abitudine/rassegnazione, il che è grave, proprio adesso che mi avvicino ad una circostanza nuovissima, che è l’apparecchiamento alla morte di cui ha parlato nettamente Scola prima dei tre punti,
  2. B) faccio confusione tra i tanti discorsi e principi che ho in testa e ciò che veramente è esperienza. Credo di dover tentare un’ascesi dell’esperienza che ormai deve essere veramente un cambiare lo sguardo e rilanciare il proprio rapporto con la vita. Noto il pericolo di vivere di eredità, la paura di dire che tutto può essere risignificato, perché è tornato ad essere sconosciuto, vedo in me questa paura e anche attorno a me.

Premesso questo, a proposito del bell’amore, mi colpisce come nelle generazioni più giovani, dai miei figli alle coppie amiche (di cui magari sono stata testimone di nozze) sia ben breve l’innamoramento come “essere presi”. E’ come se la fase dell’innamoramento fosse tutta ed esclusivamente nutrita di emotività, dunque solo fatta di facilitazione (penso al tono di tutte le canzoni sull’amore). Così poi il passaggio al bell’amore fa emergere solo l’aspetto dell’alterità come fatica dura da sopportare. Si è in difficoltà a capire l’amore come lavoro che richiede, come dice un amico, la volontà di amare, l’amore come atto di libertà consapevole. Ha ragione un autore che dice che è la famiglia che fa scoprire l’amore e non viceversa. Questo porta a sfide notevoli: nella mia cerchia familiare e amicale mette in difficoltà la prospettiva del sacrificio e c’è chi deve partire, per continuare a stare insieme, da quel bene oggettivo della relazione che sono i figli. Questo mi interroga. Le domande valgono anche per me, anziana, sposata da quasi 50 anni, nel senso che debbo o dovrei ogni giorno richiedermi quale sia il bene della relazione con mio marito, pena l’abitudine e la rassegnazione. Spostando il discorso del bell’amore nell’ambito più generale della relazione adulto-bambino (io sono in contatto con piccoli non con ragazzi), l’emotività rischia di farla da padrone: sul fronte degli adulti fa si che gli adulti mettano al primo posto la reazione immediata emotiva di un bimbo di sei o sette anni e il  suo pianto facile che diviene subito segno di infelicità, mi è capitato con dei pronipoti di sentirmi dire che un richiamo viene considerato tout court  traumatizzante. Dunque si ha un’idea di felicità del bambino piuttosto superficiale, tendente ad escludere la pazienza e la fatica.  E’ un clima molto pervasivo, penso, cosa di ieri sera, ad es. ad un film di gigantesche proporzioni tecniche ed economiche, Dunkirk, fatto soprattutto per suscitare emozione. Con i bambini con cui ho un rapporto come nonna, amica di famiglia o prozia cerco di capire come favorire anche l’apertura alla riflessione, perché la ragione apre alla realtà, mentre l’emozione favorisce l’egocentrismo, penso anche a scelte piccole come i giochi da fare.

Elisa Botturi

Riprendo il passaggio di Scola quando dice che il richiamo ai giovani sul rischio della banalizzazione dell’amore è fatto non per una questione morale ma per una questione di verità. La questione della verità vale per tutti i campi, i giovani non ascoltano richiami di tipo morale, ma ascoltano se li richiamiamo alla verità, cioè a ciò che può loro corrispondere. Faccio due esempi: andiamo a prendere un nipote grandicello che rientra dalla sua prima vacanza con GS, ci racconta che in stanza avevano la Tv e la guardavano alla sera. Restiamo stupiti, né ci pare opportuno criticare i suoi educatori (peraltro sembra sia stata una situazione corretta nel secondo turno di vacanza). Allora io gli chiedo: “Ma cosa c’entrava la Tv con tutto il resto della tua giornata?”. “Niente” mi risponde. Non gli ho detto che si era comportato male, l’ho aiutato ad arrivarci da solo al non senso. Altro esempio: vado al Parco con un nipotino di 6 anni, chiede di giocare a due bambini come lui, i due propongono una sfida contro altri, visti subito come nemici Mi colpisce questo sentire l’altro come nemico, espressione di una mentalità individualista, in cui siamo immersi, mi sembra un po’ diversa dal bisogno di relazionarmi che avevo. Decido di non lasciar passare la cosa e dico poi a mio nipote: “Forse se vi mettevate d’accordo poteva uscirne un gioco più bello” Il piccolo resta stupito. Un’altra cosa importante: dobbiamo parlare e fare con i nipoti ma non dimentichiamoci di parlarne con i nostri figli. I genitori sono loro. In conclusione: la nostra tradizione e formazione non era per niente perfetta, tuttavia quello che mi incoraggia è la possibilità di partire dalla positività, del cercare la verità, per esempio quella che l’altro è un bene per me, dunque a partire dal punto di vista della verità, possiamo intervenire nelle cose quotidiane.

Gabriella Succi

Circa l’idea che la nostra tradizione non è stata affatto perfetta, dissento e preciso che da giovani non ci sono mancati ambiti di valore educativo. Poi riprendo il punto inerente i consigli da dare ai nonni. Anzitutto penso sia importante sostenere i nostri figli nella scelta di scuole cattoliche, a Torino mia figlia ha potuto fare esperienza della differenza tra l’impostazione di una scuola pubblica e quella di una cattolica. Altro consiglio: incoraggiare e accogliere la vita, qualche nonno ad es. è tentato di lamentarsi se arrivano troppi nipoti. Ancora: alla giornata della Bussola ha parlato il responsabile di un’associazione francese che viene in aiuto alle coppie che stanno per dividersi. In tanto parlare di coppie separate, questo lavoro mi sembra molto importante. Sempre alla Giornata della Bussola un uomo ha testimoniato circa la presenza di un gruppo che sostiene coloro che vogliono restare fedeli al sacramento matrimoniale anche nel caso di un matrimonio fallito. Mi sembra una scelta assai coraggiosa. Infine penso che nelle parrocchie sia importante ci siano momenti di sostegno per le giovani coppie, come sperimenta mia figlia a Torino.

Alberto Teatini

Uno dei temi principali nel nostro contesto sociale, che il libro del Cardinal Scola affronta, è il significato del rapporto affettivo tra uomo e donna.

È un tema che ovviamente è sempre stato presente in ogni tempo ma che dopo il ’68 ha assunto una importanza particolare, in quanto da una certa concezione dello stesso si è partiti per riformulare alcuni aspetti della vita sociale.

Premetto che non sono uno studioso, ma solo una persona curiosa della realtà che mi circonda e delle linee portanti culturali che in essa emergono e pertanto non potrò essere né esaustivo né molto documentato

Secondo me nel ’68 erano presenti due istanze fondamentali di liberazione: una di liberazione sociale che ebbe esito nei movimenti della sinistra extraparlamentare, sia in Italia che in altri paesi europei e che venne sconfitta dalla reazione dei vari stati (anche se culturalmente rimane ancora in alcune élite culturali, basta vedere i titoli dei grandi giornali quando è morto Castro) ed una di liberazione individuale, che prese la via di una liberazione affettiva personale attraverso la cosiddetta rivoluzione sessuale.

A me sembra che questo tipo di concezione abbia progressivamente conquistato la mentalità corrente e che oggi anche tutto il tema relativo al gender con i risvolti legislativi e normativi che ne sono conseguiti tragga origine da essa.

Quale è il nostro compito in questa situazione: testimoniare che il rapporto affettivo tra un uomo ed una donna trova il suo significato e la sua pienezza in un ambito più grande (è il concetto di vocazione oppure se vogliamo quello a cui don Giussani richiamava i fidanzati che amoreggiavano quando disse loro “che rapporto ha quello che fate con le stelle?”) e a partire da questo giudicare le istanze che emergono nella società.

L’anno prossimo si sposa l’ultimo dei miei figli e in questo periodo quasi ogni settimana c’è il matrimonio di qualcuno dei suoi amici.

Questi ragazzi, per come impostano il loro rapporto, mi testimoniano quello che dopo quarantaquattro anni di matrimonio ho sperimentato: solo essere attaccati ad un ideale infinito sempre recuperabile all’interno della compagnia della Chiesa rende possibile un rapporto affettivo tra un uomo ed una donna pieno (il bell’amore del Cardinale?)

Sandra Farè

Dico una cosa piccola ma per me preziosa. Riprendo il punto del mistero di Scola e in particolare quello della contrapposizione tra amore di sé e amore dell’altro. Se si vive questa contrapposizione vuol dire che non siamo ancora capaci di amare. Sono andata a sentire Scola l’8 settembre, ha fatto capire che comprendere il bell’amore mi è possibile solo se mi riconosco amata da Dio, lo stesso per l’amore ai figli, cioè c’è se vedo il mistero della loro persona, se riconosco l’identità buona che Dio dona alle sue creature. Ecco lo sguardo da avere verso i nipoti. Faccio un esempio: vado a prendere a scuola il nipote che fa la prima media, mentre aspetto parlo con un’altra nonna, esce poi il nipote insieme ad un altro che è nipote dell’altra nonna, i due si guardano, c’era nel loro sguardo una voglia di fare amicizia ma non sapevano come dirlo perché manca la radice, che è la certezza che l’altro è un bene per me. Aggiungo poi che i bambini sono seri e dobbiamo esserlo anche noi, per esempio quando ci viene da sorridere sull’innamoramento di un bambino, noi cioè tendiamo a sottovalutare. Il bell’amore, per concludere, riposa sulla consapevolezza che è Dio che vuole bene all’altro, in questo senso bisognerebbe ripensare anche al sacrificio.

Peppino Zola

Nelle nostre intenzioni, con l’assemblea di oggi pensavamo di chiudere il discorso sul primo punto del cardinale. Ma è evidente, anche dalla assemblea che abbiamo fatto, che non ci può essere un punto conclusivo, anche perché questo tema ne coinvolge altri, cosa naturale. Pertanto non chiudiamo il discorso, dobbiamo continuare a lavorarci su, e cercheremo di riprendere gli interventi e di metterli a disposizione, compresi quelli precedenti. Oggi però abbiamo evidenziato quanto sia stato giusto metterci insieme tra nonni e non rimanere soli; oggi sono emerse infatti sia tematiche personali sia tematiche universali, potrebbero spaventarci se dovessimo affrontarle da soli, è bene dunque metterci insieme. I problemi che ciascuno ha sollevato sono più grandi di ciascuno di noi, è importante non rimanere soli e condividerli tra noi e anche con altri che conosciamo. Dall’aver messo insieme esperienze e, quindi, i problemi ad esse connessi, impariamo due cose che non vanno divise

La prima cosa è che le risposte derivano da una testimonianza che non è mai qualcosa di moralistico. Faccio un esempio: la festa per i cinquant’anni di matrimonio che abbiamo fatto in un po’ di coppie tempo fa è stato una testimonianza per i nostri figli e i nostri nipoti. Cioè dal nostro mettersi insieme emerge la possibilità di una testimonianza pacifica e intelligente perché tesa alla verità.

Visto che non siamo persone divise, il secondo aspetto è che non possiamo restare indifferenti a quanto accade nella società, la testimonianza consiste anche in un giudizio diverso circa il contesto in cui siamo immersi, quello che Botturi ha ben delineato. Teniamo presente che nel Vangelo c’è l’idea della battaglia. Non tiriamoci indietro rispetto alle battaglie che ci spettano. Dare un giudizio è essere testimonianza, e lo dobbiamo fare se amiamo veramente i nostri figli e i nostri nipoti. Dobbiamo cogliere lo spunto che ci siamo dati di metterci insieme per un lavoro che da soli non ci saremmo dati. Oggi non abbiamo esaurito sino in fondo il tema, ma ci siamo dati un metodo per affrontarli.

Giovanna Rossi

Si potrebbe aprire un blog in cui si fanno domande e si fanno delle risposte, poi potrà ovviamente venirci in mente un’altra modalità.